WELFARE: POCHE LE RISORSE E CI TENIAMO LA LEGGE 30
CUB CHIEDE PIU’ RISORSE, ABROGAZIONE LEGGE 30, ISTITUZIONE REDDITO SOCIALE MINIMO E RILANCIO PREVIDENZA PUBBLICA
"I 2,5 miliardi a regime, cioè alla fine della legislatura, messi sul tavolo da Padoa-Schioppa non sono assolutamente sufficienti a ridefinire ammortizzatori sociali e pensioni minime", così Pierpaolo Leonardi Coordinatore nazionale CUB al termine della riunione del tavolo di concertazione.
"Padoa-Schioppa ha anche annunciato che ulteriori risorse potranno venire dai risparmi di spesa, ovvero - sottolinea Leonardi - dai tagli alla pubblica amministrazione, dall’applicazione del memorandum sulla P.A. e dall’accorpamento degli enti previdenziali. Se a questo aggiungiamo la esplicita dichiarazione di Damiano che solo un paio di figure previste dalla Legge 30 (staff leasing e job on call) possono essere abrogate, e non quindi l’intera legge come da noi sempre richiesto, emerge un quadro fosco e a dir poco preoccupante."
Nel suo intervento la CUB ha sottolineato la necessità di individuare ulteriori risorse, di evitare ogni taglio alla pubblica amministrazione che possa minarne la funzionalità al servizio dei cittadini; ha posto l’obbiettivo dell’introduzione del Reddito Sociale Minimo per i precari e disoccupati e l’abrogazione delle Leggi 30 e Treu, nonché il rafforzamento effettivo dei servizi ispettivi per combattere davvero lavoro nero e morti sul lavoro.
18 aprile 2007 - Ansa
WELFARE: CUB, RISORSE ASSOLUTAMENTE INSUFFICIENTI
(ANSA) - ROMA, 18 APR - «I 2,5 miliardi a regime, cioè alla fine della legislatura, messi sul tavolo da Padoa-Schioppa non sono assolutamente sufficienti a ridefinire ammortizzatori sociali e pensioni minime». Così Pierpaolo Leonardi, coordinatore nazionale della Cub, commentando l'incontro di oggi a Palazzo Chigi. «Padoa-Schioppa ha anche annunciato - ha aggiunto Leonardi - che ulteriori risorse potranno venire dai risparmi di spesa, ovvero dai tagli alla pubblica amministrazione, dall'applicazione del memorandum sulla pubblica amministrazione e dall'accorpamento degli enti previdenziali. Se a questo aggiungiamo l'esplicita dichiarazione di Damiano che solo un paio di figure previste dalle legge 30 (staff leasing e job on call) possono essere abrogate, e non quindi l'intera legge come da noi richiesto, emerge un quadro fosco e a dir poco preoccupante». Per la Cub, vanno individuate ulteriori risorse, va evitato ogni taglio alla pubblica amministrazione «che possa minarne la funzionalità al servizio dei cittadini; va introdotto il reddito minimo sociale per precari e disoccupati; e vanno rafforzati i servizi ispettivi per combattere lavoro nero e morti sul lavoro».
18 aprile 2007 - Dire
WELFARE. CUB: I FONDI PER GLI AMMORTIZZATORI? NON BASTANO
LE RICHIESTE: VIA LA LEGGE 30 E REDDITO SOCIALE MINIMO.
(DIRE) Roma, 18 apr. - "I 2,5 miliardi a regime, cioe' alla fine della legislatura, messi sul tavolo da Padoa-Schioppa non sono assolutamente sufficienti a ridefinire ammortizzatori sociali e pensioni minime", cosi' Pierpaolo Leonardi coordinatore nazionale Cub al termine della riunione del tavolo di concertazione. "Padoa-Schioppa ha anche annunciato che ulteriori risorse potranno venire dai risparmi di spesa, ovvero- sottolinea Leonardi- dai tagli alla pubblica amministrazione, dall'applicazione del memorandum sulla Pa e dall'accorpamento degli enti previdenziali. Se a questo aggiungiamo la esplicita dichiarazione di Damiano che solo un paio di figure previste dalla Legge 30 (staff leasing e job on call) possono essere abrogate, e non, quindi, l'intera legge come da noi sempre richiesto, emerge un quadro fosco e a dir poco preoccupante". Nel suo intervento la Cub ha sottolineato la necessita' di individuare ulteriori risorse, di evitare ogni taglio alla pubblica amministrazione che possa minarne la funzionalita' al servizio dei cittadini. Ha poi posto l'obbiettivo dell'introduzione del reddito sociale minimo per i precari e disoccupati e l'abrogazione delle Leggi 30 e Treu, nonche' il rafforzamento effettivo dei servizi ispettivi per combattere davvero lavoro nero e morti sul lavoro.
19 aprile 2007 - Il Manifesto
Il tavolo del welfare parte male «Tesoretto» promesso un po' a tutti
Padoa Schioppa: «2,5 miliardi sono sufficienti ad allineare l'Italia agli altri paesi europei». Tutti i sindacati li giudicano insufficienti e anche nel governo si alzano le voci critiche
di Francesco Piccioni
Bisogna ammettere che Tommaso Padoa Schioppa, più noto per essere «un tecnico», deve possedere straordinarie capacità di venditore. Basta vedere su quanti «tavoli di concertazione» ha già speso il famoso «tesoretto». Lui stesso ha ricordato che si tratta in tutto di 2,5 miliardi di euro, frutto dell'«anticipo con cui viaggiamo sulla tabella di marcia del risanamento». Non una gran cifra, ma a lui bastano per annunciare che «nella prossima finanziaria non ci sarà bisogno di una manovra correttiva». Una vera notizia, a suo modo.
In ogni caso questo «tesoretto» è stato promesso all'universo mondo. Prodi l'aveva diviso in due (un terzo alle imprese, due alle famiglie); Nicolais l'aveva impegnato per il rinnovo del contratto degli statali; ieri il ministro dell'economia si è detto diponibile a investire «tutto l'extragettito nello stato sociale». Con questo termine, però, il ministro comprende gli ammortizzatori sociali per i precari, l'aumento delle pensioni più basse, la riforma dello «scalone», i coefficienti di trasformazione delle pensioni e la contrattazione di secondo livello. Promette insomma un lauto pranzo avendo in tasca i soldi per una merendina, peraltro già promessa ad altri.
«In compenso», si fa per dire, ha chiarito definitivamente che per i contratti integrativi dei «pubblici» non ci sarà un euro in più di quanto previsto; eventuali risorse andranno reperite riducendo la spesa, accorpando enti previdenziali, realizzando «maggiori efficienze», ecc. Ha subito ricevuto l'interessato applauso di Confindustria (che teme l'effetto volano sulle richieste salariali nel settore privato), anche perché si è spericolatamente sbilanciato sulla «necessità di riflettere sulla contrattazione di primo livello»; ossia sull'assetto dei contratti nazionali, che proprio Confindustria - e non solo - vorrebbe depotenziare al massimo.
Sul fronte opposto, all'interno del governo, il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Secondo cui «servono molte più risorse per abolire lo scalone e potenziare il welfare, dalla casa alla non autosufficienza. Dopo una manovra da circa 40 miliardi non si capisce perchè l'extragettito debba addirittura essere considerato un anticipo della riduzione del debito per il prossimo anno». E ricorda che anche Prodi aveva compreso il rischio: «non possiamo ammazzare il paese per ridurre il debito». In serata il segretario del Prc, Franco Giordano, pronuncia un serio altolà: «Le parole del ministro dell'economia, qualora corrispondessero alla linea del governo, provocherebbero l'impossibilità di definire un'intesa in seno alla maggioranza di centro sinistra».
Non l'hanno presa bene i sindacati. Cgil, Cisl e Uil hanno in vario modo fatto pesare la propria insoddisfazione. Fulvio Fammoni, segretario confederale presente al tavolo per la Cgil insieme a Morena Piccinini, ha definito «sbagliato il metodo e le quantità». «Non è credibile», infatti, «che così non ci siano risorse per gli altri tavoli e, se ci sono, deriveranno solo da risparmi di legislatura; quindi non immediati». Un orientamento «preoccupante», specie per il riferimento negativo alla contrattazione nazionale. Parere ampiamente favorevole, invece, per l'estensione degli ammortizzatori sociali ai precari; anche se «la discussione tra tutele e nuove regole del lavoro è intrecciata, e deve avere al centro il tempo indeterminato come forma di laviro normale»; con l'obiettivo di «intervenire sulla legge 30» (ormai nemmeno più nominata dal governo). Altrimenti, par di capire, «ammortizzare» la precarietà diffusa avrebbe un costo pari a vari «tesoretti». Anche la Cisl storce il naso: «abbiamo manifestato le nostre preoccupazioni rispetto alle quantità indicate che, ora, sono chiare, ma da incrementare rispetto ai tanti obiettivi». Ancora più netto il giudizio della Cub: «Se a questo aggiungiamo l'esplicita dichiarazione di Damiano che solo un paio di figure previste dalle legge 30 (staff leasing e job on call) possono essere abrogate, e non quindi l'intera legge, emerge un quadro fosco e a dir poco preoccupante».
Preoccupa. in effetti, che le leve decisionali siano in mano a chi - con grande freddezza - ignora la dimensione dei problemi sociali perché attento solo all'equilibrio di bilancio. Come se un paese potesse essere governato con gli avanzi.
19 aprile 2007 - L'Unità
Pensioni e tutele il governo offre 2 miliardi e mezzo
I sindacati a Padoa-Schioppa: i soldi non bastano. Niente scambi tra previdenza e ammortizzatori
di Felicia Masocco
Roma - IL TRAVASO Sul piatto ci sono 2 miliardi e mezzo. A fronte di un ventaglio di obiettivi che va dagli ammortizzatori sociali agli interventi sulla previdenza, dal superamento dello scalone alla revisione dei coefficienti fino all’innalzamento delle pensioni basse. Oltre
agli incentivi alla contrattazione integrativa. A delimitare il vasto campo d’azione è stato ieri il ministro Padoa-Schioppa incontrando sindacati e imprese al tavolo sul Welfare. La cifra è quel che resta del «tesoretto» una volta sottratti i 7,5 miliardi per il risanamento dei conti. Sono queste le risorse certe su cui si può contare, di più - ha spiegato il ministro - si potrà fare se verranno risparmi e tagli alla spesa pubblica. Il confronto è avviato e da Seul Romano Prodi chiede di fare presto, «di non perdere tempo».
Ma la strada è in salita. La linea del rigore incontra il favore di Confindustria, mentre i sindacati non hanno nascosto malumore e timori, da Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Cub il commento è stato unanime «le risorse sono insufficienti». Non solo. Il metodo indicato da Padoa-Schioppa evoca uno scambio tra pensioni e ammortizzatori. Per le prime l’Italia spende più della media europea -ha fatto notare il ministro- mentre per le tutele si è al di sotto. Padoa-Schioppa si è detto convinto che si possano «integrare le carenze dello stato sociale. Sostanzialmente -ha detto- pensioni basse e il mondo del lavoro intermittente, cioè le condizioni dei giovani che sono penalizzati». Questo con 2 miliardi e mezzo «si può fare». Sono invece «insufficienti a modificare in modo sostanziale il sistema previdenziale che prevede l’applicazione integrale sia della legge Maroni (lo scalone, ndr), sia della legge Dini» (la revisione dei coefficienti). Qui con quella cifra si possono fare solo «ritocchi».
Quel che il ministro chiama «allineamento» con l’Europa, per i sindacati è un «travaso», uno scambio: rinuncia al superamento dello scalone se si vogliono nuovi ammortizzatori e pensioni più alte. «Non va bene», è il commento di Fulvio Fammoni e di Morena Piccinini, segretari confederali Cgil. «Non si pensi che siano i sindacati a scegliere se intervenire sulle pensioni basse tralasciando il resto. È uno scambio al quale ci opporremo». «Se diventa il gioco della torre, cioè che cosa buttiamo giù noi non ci stiamo», gli fa eco per la Cisl Giorgio Santini che pure dice di voler «essere prudente». Uno scrupolo che Domenico Proietti della Uil non si fa, «se significa scegliere il mantenimento dello scalone, il sindacato è pronto allo sciopero generale». E pensare che i sindacati hanno molto apprezzato le linee di riforma degli ammortizzatori illustrate dal ministro Cesare Damiano, presente al tavolo con il collega Giulio Santagata e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta. Ma c’è chi dice no, anche nella maggioranza. «2,5 miliardi sono insufficienti», dichiara il ministro Paolo Ferrero. E per Franco Giordano (Prc) «se le parole di Padoa-Schioppa corrispondessero alla linea del governo un’intesa nella maggioranza sarebbe impossibile».
C’è un altro aspetto che rischia di esplodere. Parlando del sostegno alla contrattazione integrativa il ministro dell’Economia ha sollecitato le parti a riformare il modello contrattuale. «Ha riconosciuto che una riflessione sul secondo livello deve coinvolgere anche il primo», ha detto soddisfatto il direttore generale di Confindustria Maurizio Beretta. Ma la Cgil è contraria «è un invito pericoloso».