Il nostro inferno dalle prigioni libiche all'Italia
Le testimonianze di alcuni immigrati arrivati in Italia dalla Libia. Molti di loro raccontano di essere stati costretti, contro la loro volontà, a salire sui barconi.
Pubblichiamo il Servizio di Flavia Amabile (La Stampa)
"Non volevamo salire su quei barconi La polizia ci ha caricato con la forza"
Quando Ismael sente la domanda scuote la testa quasi con stupore. Pagare per venire in Italia? «Nemmeno per sogno, mi ha costretto con la forza la polizia». Amadi ride. «Non ho pagato nulla, mi hanno costretto. Lo stesso vale per Mamadi e Dusmane. Sono arrivati in Italia in momenti diversi ma nessuno di loro aveva voglia di salire su una barca, attraversare il Mediterraneo e trovarsi in Sicilia.
Arrivano tutti dalla Libia, dalle prigioni dove finisce chiunque, anche senza motivo, e da dove molti di loro escono solo per essere imbarcati sul primo gommone, pedine di un gioco molto più grande a cui nessuno di loro ha mai chiesto di giocare.
Ismael ha 41 anni, è originario della Sierra Leone. «C'era la guerra, hanno ucciso mio padre, i miei figli, mia moglie. Sono andato via». Era il 1998, Ismael si è rifugiato prima in Guinea Bissau, poi in Mali ma ovunque c'era guerra. Pensava di aver trovato un po' di tranquillità in Libia, è finito in prigione. «Camminavo, non avevo fatto nulla», spiega. È rimasto in prigione per sei mesi finché un giorno la polizia lo ha portato in riva al mare. Ha saputo lì, sulla spiaggia, che stava per partire per l'Italia. «Non volevo andare, ho paura del mare ma mi hanno costretto».
Mamadi è originario del Mali, è fuggito anche lui da un Paese in guerra. Nel febbraio del 2013, dopo dieci mesi di viaggio. è arrivato in Libia. Ha trovato un lavoro, lo pagavano 50 dinari al mese ma ad un certo punto hanno smesso di pagarlo. Mamadi ha aspettato un po' poi ha smesso di lavorare. Manette, prigione, infine il mare, la lunga traversata in mezzo a centinaia di altri come lui.
Dusmane ha 19 anni e ne dimostra quindici di più. Si è messo in viaggio dal Mali ed è finito dritto in una prigione libica. «Una notte hanno sfondato la porta dall'esterno. Siamo fuggiti ma ci hanno ripresi e ci hanno messi su una barca».
Quelli come Isamel, Dusmane, Mamadi si ritrovano in Sicilia senza capire. Sono tanti, solo da venerdì ne sono stati salvati 7mila e altri 3500 sono in arrivo. Sono 80mila ad essere assistiti dal Viminale. Sperano di poter vivere meglio che in Libia, e non ci vorrebbe molto. Finiscono in un buco nero. Ismael, Dusmame, Mamadi e Amadi vivono a Roma senza esistere davvero. Erano a Ponte di Nona, in uno dei centri d'accoglienza gestiti dalla cooperativa «29 Giugno» di Salvatore Buzzi travolto dalle inchieste di Mafia Capitale. Sono stati espulsi a febbraio dopo una protesta per denunciare di essere rimasti senza cibo, senza acqua calda, senza soldi dalla cooperativa che era stata commissariata.
Dalle prigioni libiche al limbo. Da due mesi «sono fuori dai programmi di accoglienza del comune di Roma non hanno mezzi di sostentamento propri e non possono nemmeno essere espulsi - avverte Aboubakar Soumahoro, responsabile nazionale immigrazione RdB-USB che sta seguendo le loro vicende - perché nello status di richiedenti asilo».