Dal governo dei cialtroni al governo dei padroni, contro salari, diritti e pensioni
Come se non fossero bastate le stangate piovuteci addosso con le cinque manovre finanziarie dei mesi passati, il 2012 si apre con l’annuncio di una cascata di aumenti che quest’anno costeranno alle famiglie circa 2.103 euro in più: dall’energia elettrica + 4,9%, al gas + 2,7%, alle autostrade + 3,1%, e così via senza contare l’aumento complessivo del costo della vita considerato che a novembre i prezzi medi alla produzione sono aumentati del 4,2% su base annua.
Tutto ciò poi è accompagnato dai tagli alle pensioni, dal blocco dei contratti, dalla perdita di oltre 900 mila posti di lavoro nel 2010, cui se ne aggiungeranno altri 300 mila quest’anno a causa della recessione, dalle privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi pubblici, dal taglio alle prestazioni sociali, e terminiamo qui un elenco che sarebbe veramente troppo lungo da completare ma che dà, già così, il senso di cosa il 2012 porterà ai lavoratori, alle donne, ai giovani, studenti e precari, ai migranti, ai pensionati.
E non finisce qui.
Il Presidente Napolitano, nel discorso di fine anno, ha invitato il governo a ripensare le politiche del lavoro chiedendo al contempo ai “sindacati”(?) lo stesso slancio costruttivo e la capacità di fare sacrifici mostrati in altre fasi di emergenza. Come se non sapessimo quanto ci è costato nei decenni trascorsi questo slancio costruttivo fatto dai sindacati complici, risultato della concertazione: politica dei redditi tradotta in abolizione del recupero automatico dell’inflazione (scala mobile) e nessun vero recupero del potere d’acquisto dei salari ottenuto per mezzo del contenimento delle richieste contrattuali, anni d’oro per le imprese e impoverimento di vasti ceti sociali con il trasferimento massiccio della ricchezza prodotta dal monte salari ai profitti e alle rendite finanziarie, aumento della precarietà e scomparsa di migliaia di posti di lavoro.
Monti non se lo è fatto certo ripetere e, accogliendo l’invito, ha già fissato le tappe per la cosiddetta fase due, quella della “crescita e dello sviluppo”, fissando per metà gennaio la ripresa del dialogo con CGIL CISL UIL e UGL all’insegna della massima intesa e soprattutto urgenza.
Unico argomento, la riforma del mercato del lavoro, il totem senza le cui modifiche addio sviluppo e crescita.
Dal 1993 abbiamo conosciuto molte riforme che hanno rivoluzionato il mercato del lavoro, dalla privatizzazione del collocamento all’introduzione di svariate tipologie di rapporti di lavoro che se da una parte hanno prodotto solo precarietà, dalla legge Treu in poi, dall’altra hanno permesso alle imprese di avvalersi di mano d’opera a basso costo, basta pensare ai cococo o all’apprendistato professionalizzante, fino ad arrivare al Collegato Lavoro di Sacconi, che ha abbattuto ulteriori garanzie a difesa dei lavoratori.
Ora il Governo parla di contratto unico ma senza i vincoli dell’art.18, dietro il solito alibi che per sconfiggere la precarietà bisogna togliere l’ultima garanzia rimasta al lavoro dipendente.
Per dorare la pillola si parla di riforma degli ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito, ma cosa questo può significare in tempi di poderosi tagli alla spesa pubblica, lo possiamo ben immaginare.
Ci preoccupa Monti, certo, ma ancora di più ci preoccupano le reazioni delle forze politiche presenti in parlamento e di CGIL CISL UIL, questi ultimi pronti al patto sociale e ad una nuova concertazione, che avvertono il governo: senza di noi esploderanno tensioni sociali (Camusso).
Bonanni si spinge ad ipotizzare anche possibili modifiche all’art.18, purché il governo ne dimostri la necessità e paventa tensioni organizzate da facinorosi e provocatori!
Non c’è da stare per niente allegri se guardiamo agli esiti degli accordi e patti sociali conclusi o da CISL UIL e UGL - primo fra tutti gli accordi di Pomigliano e Mirafiori che hanno fornito a Marchionne la chiave per uscire da Confindustria e farsi un proprio contratto nazionale, decretando perfino la morte delle RSU soppiantate dalle RSA dei soli firmatari – o insieme alla CGIL come nel caso dell’accordo del 28 giugno scorso che di fatto cancella il contratto nazionale introducendo la possibilità di deroghe su tutti gli istituti contrattuali, cui ha fatto seguito l’art. 8 della finanziaria del governo Berlusconi, anche qui con un pesante colpo alla democrazia sindacale e alla possibilità dei lavoratori di contare nelle scelte che li riguardano.
E’ per impedire che questo disegno giunga alle sue estreme conseguenze, per impedire che sotto i diktat della BCE, della Commissione Europea, dei poteri finanziari e del dio mercato, a soccombere siano sempre i solito noti, che il 27 gennaio prossimo la stragrande maggioranza delle organizzazioni sindacali di base ha indetto lo sciopero generale.
Mentre le banche e le grandi aziende monopoliste continuano a macinare profitti a noi vengono proposti sacrifici e batoste.
Per contrastarli è necessario costruire una grande opposizione sociale e per questo invitiamo tutti, i lavoratori e le lavoratrici, i giovani, precari e studenti, i migranti, i pensionati, chi lotta per la difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici contro le privatizzazioni e le liberalizzazioni, e chi nei territori si oppone alla speculazione e alle devastazioni ambientali a costruire insieme la prima grande giornata di lotta contro Monti ed il suo governo.