LA CONCERTAZIONE E' MORTA. RIMANE IL CONFLITTO, DA PRATICARE
Dopo che il Governo Berlusconi aveva praticamente chiuso con la concertazione, oggi Monti ne decreta anche formalmente la morte. Non c’è più il rito del grande tavolo convocato in orario da telegiornale per far vedere che i nostri prodi sindacalisti stavano duramente trattando la resa senza condizioni ad ogni richiesta della controparte – sceneggiata andata in onda per svariati anni dal ’92 con pesanti ripercussioni sulla vita dei lavoratori - ma ci saranno sobri incontri tra qualche ministro e le singole confederazioni scelte nel mazzo tra quelle più compiacenti.
Sono i banchieri, bellezza! Verrebbe da dire, gente tosta che sa come guadagnarsi da vivere e che sa fare il proprio mestiere. Basta sceneggiate, basta penultimatum, basta estenuanti maratone con tavoli pletorici (plurali?) di facciata e trattative segrete tra pochi intimi, sempre i soliti più qualche parvenu di gradimento governativo, in cui ci si scambiava il malloppo, a voi la scomparsa della scala mobile, a noi la concertazione, a voi la precarietà, a noi gli enti bilaterali, a voi la riforma delle pensioni, a noi la gestione dei fondi pensione e via rammentando.
Il vero tavolo spesso è quello dei talk show, dove si confrontano robusti opinionisti che invocando il rispetto degli impegni presi con l’Unione Europea esortano a fare presto e di più, ad esempio non nascondendo la malcelata voglia di dare qualche ulteriore sforbiciata al pubblico impiego, magari licenziando qualche centinaio di migliaia di lavoratori pubblici come sta tentando di fare la Grecia su richiesta della troika BCE–UE–FMI.
Insomma tutto si dovrebbe risolvere facendo qualche giro di valzer con bonanniangeletticamusso, negli incontri separati o attraverso i riti televisivi, ma senza alcuna disponibilità a mettere in discussione le scelte operate in ossequio ai diktat dell’Unione Europea e degli interessi dei banchieri che sono obbiettivamente alla guida del nostro Paese. Nel frattempo, piano piano ma senza incertezze, si rimette mano alla rappresentanza sindacale per accompagnare la fine della concertazione con la riduzione dei diritti nei luoghi di lavoro. Ha cominciato Federmeccanica comunicando che chi non ha sottoscritto il contratto nazionale non avrà più alcun diritto in fabbrica. E’ l’articolo 19 bellezza! Verrebbe da dire. E’ quell’obbrobrio sorto dal referendum di parziale modifica dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, voluto dalla sinistra sindacale dell’epoca per contrastare il quesito radicale di totale abrogazione di quella stessa norma che impediva, e impedisce, il pluralismo sindacale, che si prende la rivincita su chi lo ha sostenuto e vinto che oggi un po’ strilla e un po’ tenta accordi sottobanco per scongiurarne l’esito.
E allora? Cosa succede ora? Come si contrastano i progetti di questo governo insediato direttamente da Bruxelles con la benedizione di Napolitano e di tutti i partiti ben contenti di aver trovato qualcuno disponibile a fare il lavoro sporco in nome e per conto?
Nelle ultime dichiarazioni di bonanniangeletticamusso tese a spiegare a Monti che se non si apriva un vero tavolo di concertazione si sarebbe aperta una stagione drammatica evocando la stanca e trita categoria dell’arrivo dei facinorosi e dei provocatori o demonizzando il possibile emergere di tensioni sociali. Insomma o il ritorno ai vecchi ma funzionali riti della concertazione o il caos.
Mai uno che parlasse di utilizzo dello strumento del conflitto sociale come regolatore degli interessi contrapposti: tu mi togli la pensione, mi tagli lo stipendio, mi precarizzi l’esistenza, mi rapini il salario, mi aumenti la pasta, il gas, la corrente, l’affitto, la benzina, l’autobus e io lotto, sciopero, boicotto, manifesto, mi incazzo.
Il 27 gennaio chi pensa che sia il conflitto lo strumento giusto per cacciare il governo dei banchieri e cambiare radicalmente la storia di questo paese cominci a scioperare e a venire in piazza con il sindacalismo di base. Diamogli una lezione di conflitto.