Analisi dell'accordo interconfederale Confindustria/Cgil, Cisl, Uil del 28 giugno 2011

In allegato il documento impaginato e il testo dell'accordo del 28/6

Nazionale -

E’ opportuno  approfondire i contenuti dell’accordo raggiunto dalla Confindustria  e da CGIL CISL UIL , il 28 Giugno scorso, la cui gravità fa impallidire la memoria della politica dei redditi e della concertazione inaugurata con gli infausti accordi del luglio 92 e 93.

Già nella premessa viene chiarito in ogni riga che gli obiettivi sono quelli di assicurare le imprese che le regole in materia di rappresentatività sindacale e di relazioni sindacali sono tutte volte a creare le migliori condizioni  di produttività e di competitività, che la contrattazione collettiva ‘deve raggiungere risultati funzionali  all’attività delle imprese, deve essere orientata ad una politica di sviluppo adeguata alle differenti necessità produttive … deve garantire una maggiore certezza alle scelte operate d’intesa tra aziende e sindacati ‘  mentre  sugli interessi, le necessità e  i diritti dei lavoratori  quasi si sorvola.

Al primo punto si affronta il tema della rappresentatività sindacale nazionale per determinare la quale si stabilisce  una soglia pari al 5% tra il dato associativo, riferito al numero di iscritti di ciascuna organizzazione e il dato elettivo, ossia i voti ricevuti nelle elezioni delle RSU.

Si spaccia questo come la copia di quanto vige nel pubblico impiego.
Niente di più falso per ben due motivi: nel P.I.  la percentuale riferita al dato associativo si calcola sul numero dei sindacalizzati, ossia sul totale degli iscritti a tutti i sindacati del settore, mentre in questo accordo si fa riferimento al totale dei dipendenti  della categoria. C’è una bella differenza, specialmente se consideriamo che la realtà produttiva italiana è fatta di piccole e piccolissime aziende,  dove è probabile che   le elezioni non si faranno mai, e dove difficilmente potrebbero arrivare organizzazioni che non godono dei diritti sindacali più elementari.

Ma non è finita qui, per il dato associativo relativo agli iscritti  si è deciso che la certificazione venga effettuata dall’INPS dietro convenzione esclusiva con i firmatari dell’accordo. Rimane quindi preclusa ab origine agli altri, in primis ai sindacati di base, la possibilità di avere la trattenuta in busta paga e quindi di poter dimostrare la propria rappresentatività. Saranno le aziende, cui viene affidato un grande potere discrezionale su una materia tanto delicata, ad inviare i dati degli iscritti all’Inps.

La certificazione dei voti invece viene lasciata nelle mani dei confederali che dovranno comunicarli al Cnel!

Quanto questo meccanismo sia poco credibile e viziato  lo dimostra inoltre il punto  5 che prevede la coesistenza  delle RSA di diretta nomina sindacale per le quali non sono previste elezioni.

C’è poi un elemento di grossa ambiguità che non fa presagire niente di buono: in quest’accordo si fa continuo riferimento alle RSU, finora  regolate dall’accordo interconfederale del 1993 che però la UIL ha disdetto nei giorni scorsi, ragion per cui nell’intesa sottoscritta a parte tra CGIL CISL UIL si dice che ‘le categorie definiranno regole e criteri per le elezioni delle RSU’.  Se pensiamo che già negli anni scorsi alcuni sindacati di categoria aderenti a CGIL CISL UIL  avevano tentato di portare al 20% il numero delle firme necessarie per presentare una lista RSU, tentativo sventato proprio facendo riferimento all’accordo del 93, possiamo avere un’ idea di come saranno democratiche le prossime regole!!

Il punto 2 si occupa del contratto nazionale, che dovrebbe garantire la ‘certezza dei trattamenti economici e normativi‘, certezza inficiata e demolita  da quanto previsto al punto 7 dove si introduce la possibilità di ampie deroghe che di fatto decretano la scomparsa del contratto collettivo nazionale.
Non si prevedono strumenti di verifica e di consultazione sui CCNL da parte dei lavoratori che eventualmente possono essere introdotte con accordi di categoria, né si dice nulla sulla validità della sottoscrizione di un contratto nazionale in riferimento alla rappresentatività dei firmatari. Se ne deduce che possono essere validi anche accordi separati sottoscritti da chi non detiene la maggioranza dei voti o delle deleghe.

Al punto 4 si prevede l’efficacia erga omnes dei contratti aziendali, se approvati dalla maggioranza dei componenti le RSU senza che sia prevista la consultazione dei lavoratori. Di fatto si elimina del tutto ogni parvenza democratica sui posti di lavoro visto che per effetto del 33% delle RSU garantito a CGIL CISL UIL dall’accordo interconfederale del 93, gli basta prendere il 17% +1 dei voti per garantirsi questa maggioranza!
Non contenti di ciò nello stesso articolo si blindano tali contratti vincolando ad esse tutti i firmatari di questo accordo.

Il punto 5 prevede che i contratti collettivi aziendali esplichino  la loro efficacia  anche quando vengano approvati  dalle RSA ( la  cui costituzione è riservata in forza dell’art.19 della legge 300/70 ai soli firmatari di contratti) che insieme o singolarmente abbiano conseguito nell’anno precedente la maggioranza delle deleghe, quindi la maggioranza degli iscritti e non dei dipendenti come si chiede invece per la rappresentatività nazionale. Insomma le regole variano secondo i giocatori: si ha paura che a livello aziendale non si riesca ad ottenere  dai lavoratori i  consensi necessari?

Nel caso di contratti collettivi  aziendali sottoscritto dalle RSA la consultazione e il conseguente voto dei lavoratori può avere luogo solo se lo richiede, entro dieci giorni dalla sottoscrizione,  un ‘organizzazione firmataria di questo accordo  o il  30% dei lavoratori dell’impresa e non del singolo sito produttivo, con tutte le difficoltà che si possono immaginare in imprese come la FIAT dislocate su tutto il territorio nazionale da parte di chi non può esercitare il diritto all’ assemblea o alla semplice bacheca.
La consultazione è valida poi se partecipa il 50%+1 degli aventi diritto.

La tregua sindacale, cioè il divieto di  scioperare contro gli accordi sottoscritti, viene sancita al successivo  punto 6 secondo cui per  garantire alle aziende l’attuazione degli impegni contenuti nei contratti aziendali essi diventano vincolanti per le organizzazioni firmatarie di questo accordo interconfederale. Si specifica poi che questo divieto riguarda i sindacati e non i singoli lavoratori ai quali la costituzione garantisce il diritto di sciopero (sic!).

Come se non bastasse al punto successivo, il 7, si introduce la possibilità che gli  accordi aziendali determinino  deroghe e modifiche, anche sostanziali ai contratti nazionali, relative alla prestazione lavorativa, agli orari e all’organizzazione del lavoro: Marchionne a Pomigliano e a Mirafiori non ha fatto nulla di diverso!
Per gettare fumo negli occhi le deroghe vengono  definite “strumenti di articolazione contrattuale mirati ad assicurare la capacità di aderire alle esigenze degli specifici contesti produttivi”.

Dulcis in fundo la richiesta al Governo di assicurare alle imprese, in via definitiva e certa, tutte le misure volte ad incentivare questa bella contrattazione aziendale, in termini di riduzione di tasse e contributi, per collegare eventuali aumenti retributivi al raggiungimento di obiettivi di redditività, cioè profitti, qualità efficienza, efficacia, ecc, ecc ai fini del miglioramento delle competitività e legati al risultati dell’andamento economico delle imprese!


Se il  mercato va male, se l’azienda sbaglia investimenti o scelte produttive, hai voglia a farti sfruttare e spremere fino all’osso, chi ci rimette saranno sempre e soltanto i lavoratori.

Non riusciamo veramente a capire come  qualcuno possa azzardarsi a dire che questo accordo “rappresenta un salto qualitativo dalla democrazia di organizzazione alla democrazia sindacale che i lavoratori saranno coinvolti e consultati per poter validare gli accordi con lo strumento del referendum”.(Nicolosi, Lavoro e Società Cgil)

Nulla di tutto questo. Siamo di fronte ad un accordo i cui contenuti non esitiamo a definire aberranti, che cancella veramente quel poco di democrazia ancora presente nei posti di lavoro ed istaura una vera e propria dittatura di Cgil Cisl e Uil attraverso un tentativo smaccato, ma non per questo meno vero, di eliminare del tutto il pluralismo sindacale e le possibilità di rivolta di fronte ad una crisi economica che ancora non ha mostrato la sua devastante natura.

Se già oggi giudichiamo pesante l’attuale manovra finanziaria di Tremonti, pari a 1 miliardo e 800 milioni di euro cosa ci aspetterà nei prossimi 2 anni quando il debito pubblico, se va bene, dovrà ridursi di altri 45/47 miliardi di euro?

E’ per questo che Confindustria, Cgil Cisl e Uil sono stati così solleciti e d’accordo nel definire queste nuove relazioni sindacali, all’insegna di un rinnovato patto sociale che dice: gli interessi dell’impresa prima di tutto, i lavoratori si adeguino ed in ogni caso si tolgono di mezzo quanti più spazi possibili al dissenso, al conflitto, alle lotte.

 

Notizia dell'ultima ora: il sito della Funzione Pubblica riporta la notizia che il Ministro Brunetta ha inviato all'Aran l'atto di indirizzo per la stipulazione di un accordo quadro che regoli il sistema delle relazioni sindacali alla luce della riforma degli assetti contrattuali sottoscritti il 30 aprile 2009 per i comparti del pubblico impiego.