Usb e Cestes: l'Italia è una grande fabbrica e la classe operaia esiste ancora
Il convegno organizzato da USB e Cestes domenica 23 aprile al centro congressi Cavour di Roma per presentare l’inchiesta del centro studi Cestes “La grande fabbrica: dalla catena di montaggio alla catena del valore”, ha visto una impressionante partecipazione di lavoratori e lavoratrici, a testimonianza di quanto la condizione operaia e dei settori del mondo del lavoro che determinano la catena del valore siano ancora centrali nella scena economica e sociale reale del nostro paese.
La grande partecipazione di delegati e militanti, nel bel mezzo del ponte del 25 aprile, senza permessi sindacali e a spese proprie, testimonia non solo di un profondo concetto di militanza ma anche della grande attenzione per il tema proposto. Dopo anni di attacco alla condizione operaia, di totale scomparsa di questa dalle cronache di giornali e televisioni, sembrava quasi che, in Italia e nel mondo, gli operai fossero una classe estinta; non facevano più notizia se non quando ai picchetti davanti ad un magazzino un lavoratore perdeva la vita assassinato da un sistema che non tollera chi lotta contro la schiavitù, per i diritti, per migliori condizioni di vita e di lavoro.
L’inchiesta del Cestes ha evidenziato quanto profonda sia stata la mistificazione portata avanti dal capitale e dai media asserviti, assecondati in questo dalle forze politiche, dai governi e dai sindacati complici; ha evidenziato come l’Italia sia ancora il secondo paese manifatturiero in Europa, nonostante le delocalizzazioni e la deindustrializzazione di interi comparti e distretti industriali, determinati dalla crisi economica, dalla globalizzazione dei mercati e dalla mancanza di politiche industriali da parte di tutti i governi che si sono succeduti alla guida del paese.
“La grande fabbrica” è nata dalla necessità di avere una analisi reale, basata su dati ufficiali, in questo caso degli organismi economici e statistici a livello sia italiano che europeo e mondiale. È evidente che senza una reale conoscenza di quanto accade nel mondo del lavoro, le imposizioni economiche cui l’Italia è soggetta dai trattati europei, gli indirizzi economici mondiali, gli effetti delle delocalizzazioni e dei movimenti monetari alla base della globalizzazione, non sarebbe possibile alcuna reale politica di contrasto e di ripresa del conflitto operaio.
Rimandiamo ai dati presentati dal Cestes per avere una visione chiara delle politiche economiche e di restrizione degli spazi di rivendicazione e della democrazia nei luoghi di lavoro, ma vogliamo ribadire che questa inchiesta, la prima dopo anni e anni di oblio del movimento operaio, rappresenta la prima tappa di un percorso che ci vedrà impegnati nella riconquista di diritti e rappresentanza politica di un movimento che conta, solo in Italia, decine di milioni di addetti. Utili, per il percorso che compiremo, saranno le note riguardanti le linee di tendenza del capitale, perché una battaglia si può vincere se si conosce l’avversario, come opera, come si propone di proseguire in quella vera e propria guerra di classe che il padronato ha scatenato contro i lavoratori.
Dopo l’illustrazione della ricerca da parte degli autori, Luciano Vasapollo, Rita Martufi e Mauro Casadio, si sono succeduti gli interventi di lavoratori delle grandi imprese, come Ilva, Piaggio, Alenia, di settori ormai proletarizzati a partire dalla logistica e dalla grande distribuzione, in via di proletarizzazione come Alitalia, o addirittura in condizioni di schiavitù, come l’agricoltura che sfrutta oltre ogni limite il lavoro dei migranti. Al convegno, cui hanno partecipato oltre 150 lavoratori, molte sono state le richieste di estendere l’indagine ad altri settori del mondo del lavoro. Un impegno che USB e Cestes si sono assunti per coniugare le lotte con analisi puntuali necessarie a sostenerle e a dar loro una prospettiva.