Torna l’attacco alle pensioni, anche stavolta non accadrà nulla? La Francia insegna che…
Il dibattito intorno alla sostenibilità del sistema pensionistico si è riacceso in questi giorni e sono molteplici le iniziative e le dichiarazioni in materia. Tavoli tecnici, commissioni di presunti esperti e di ben collaudate e fedeli parti sociali dovranno trovare la quadra per riuscire ancora una volta a rimettere mano al sistema previdenziale senza che i cittadini e i lavoratori siano in grado di reagire. È la riproposizione del principio della rana bollita, si immerge una rana nell’acqua fredda e questa non si ribellerà perché vi si troverà bene, poi si scalderà lentamente l’acqua e la rana comincerà ad abituarsi alla nuova temperatura fino a che l’acqua diverrà bollente e la rana verrà bollita senza accennare ad alcun tentativo di fuga.
La scadenza per mettere mano alle pensioni, secondo gli studiosi attuariali che incrociano tassi di natalità e aspettative di vita, è fissata al 2022 in concomitanza con la fine prevista di quota 100, e così si comincia fin d’ora a preparare il terreno. Proposte di ogni genere, allarmistiche statistiche predisposte all’occorrenza, grida elettorali in strenua difesa del pessimo esistente saranno lo scenario in cui ci troveremo nei prossimi mesi con l’unico reale obbiettivo di affossare definitivamente il sistema previdenziale pubblico e far fiorire i fondi pensionistici privati e/o di categoria. Insomma quanto sta accadendo in Francia non fa alcun effetto ai nostri incalliti riformatori.
Molti si chiedono come la vera e propria rivolta sociale che sta attraversando la Francia ormai da molto tempo, prima con i gilet gialli e poi con le manifestazioni sindacali, non abbia avuto alcun riverbero nel nostro Paese. Molti, a ragione indicano nelle complicità sindacali di Cgil Cisl e Uil la ragione di questa assenza. Ma va detto che le complicità non si sono limitate a far passare senza colpo ferire le peggiori riforme pensionistiche d’Europa da 30 anni a questa parte, ma hanno consentito che ai lavoratori italiani fosse scippata la possibilità di opporsi con le armi necessarie agli sfaceli che in tema di pensioni, ma anche di lavoro, di diritti, di tutele si andavano compiendo rispettando e favorendo gli appetiti del capitale e i diktat dell’Unione Europea. I nostri fratelli francesi hanno imbracciato l’arma dello sciopero e la stanno utilizzando a piene mani per contrastare la riforma Macron, le manifestazioni e i blocchi stradali sono all’ordine del giorno ormai da circa due anni.
Il nostro paese ha invece subito uno spaventoso arretramento nelle dinamiche del conflitto che è stato pressoché impedito attraverso una normativa sul diritto di sciopero che lo ha reso sostanzialmente inefficace quando non direttamente impraticabile e con le norme penalmente rilevanti introdotte per reati “di lotta” come l’occupazione di fabbriche o aziende, i blocchi stradali ecc. attraverso quei decreti sicurezza che qualche credulone aveva immaginato sarebbero stati immediatamente cancellati dal nuovo governo PD/M5S.
Vorremmo ricordarlo a quanti si sono girati dall’altra parte quando in più riprese e da tempo abbiamo segnalato, con lotte e scioperi non a chiacchiere, il precipitare di una involuzione democratica e l’acutizzarsi dell’apparato repressivo delle lotte e del conflitto e che oggi fanno il tifo per le manifestazioni francesi sui social.
USB non ha mai creduto che si fosse alla “fine della storia”, noi riteniamo che ci siano comunque le condizioni per riaprire un ciclo di lotte che, a partire dalle tutele del lavoro, della previdenza, del diritto all’abitare, alla salute e al salario possa riportare anche in Italia milioni di lavoratori a lottare. È tempo di uscire di casa.