“Stiamo con Draghi ma scioperiamo”. I sindacati concertativi sono ormai nel pallone

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Cgil e Uil, questa volta senza la Cisl, “apprezzano l’impegno e lo sforzo del Premier Draghi e del suo Esecutivo” e nello stesso comunicato stampa proclamano uno sciopero generale per il prossimo 16 dicembre intitolato “Insieme per la giustizia” a sostegno della loro piattaforma.

Una piattaforma alla base dello sciopero i cui contenuti sono fumosi e sconosciuti ai più, come sempre più spesso avviene, e che non affronta il nodo centrale della situazione che stiamo vivendo, cioè il giudizio sul governo Draghi e sull’impianto economico, politico e sociale che porta avanti.  Dal PNRR alla Legge di Bilancio ormai in dirittura d’arrivo e immodificabile nella sua essenza, fino al disegno di legge sulla concorrenza con il quale si preparano a privatizzare ciò che resta di pubblico in Italia, tutta la politica del governo Draghi è ispirata agli interessi delle grandi imprese ed è destinata ad approfondire le disuguaglianze sociali e territoriali.

Il sindacalismo di base di questo impianto ha dato un giudizio netto e senza tentennamenti tanto ideologico quanto concreto e ha chiamato le lavoratrici e i lavoratori allo sciopero generale l’11 ottobre e a una giornata nazionale di protesta il 4 dicembre, il No Draghi Day, assieme a un ampio schieramento di forze sociali, movimenti e organizzazioni politiche.

Chi oggi chiama ad uno sciopero generale mutilato della sua funzione politica, lavora platealmente ad affermare la propria esistenza in vita, a mendicare qualche ulteriore brandello di concertazione mentre continua imperterrito nella sua strategia di accompagnamento nella demolizione sistematica della forza del movimento dei lavoratori.

Solo per stare agli ultimi giorni, coloro i quali indicono questo sciopero generale hanno sottoscritto l’accordo Whirpool dando il via libera a oltre 300 licenziamenti e sottoscritto il contratto di ITA che sancisce il totale dominio di impresa sulle lavoratrici e i lavoratori sopravvissuti al massacro degli ottomila licenziamenti Alitalia e in cui, oltre a seppellire l’articolo 2112 sulla tutela dei lavoratori in caso di cessione di impresa, hanno anche accettato il taglio del 30% delle retribuzioni e una soglia di rappresentatività del 15% per poter fare sindacato nella neonata azienda pubblica.

Contemporaneamente, mentre l’Unione Europea riconosce la necessità per tutti i Paesi aderenti di dotarsi di un salario minimo a fronte di una clamorosa crescita del lavoro povero, le confederazioni italiane assieme alla Confederazione Europea dei Sindacati, a guida Uil, ottengono la possibilità di scantonare dalla direttiva e di poter definire il minimo salariale attraverso i contratti, cosa che non muterà minimamente la condizione oggi esistente.

Si potrebbe continuare quasi all’infinito nell’evidenziare tutte le enormi e storiche responsabilità di Cgil, Cisl, Uil nell’accompagnare la sistematica politica di smantellamento dei diritti e delle aspettative del mondo del lavoro, ma ci fermiamo qui, all’oggi, e ci basta e ci avanza.

La battaglia contro il governo Draghi, contro l’ipotesi di prosecuzione del banchiere europeo alla guida del governo o del Paese non ha nulla a che vedere con questo sciopero, che non ci interessa e non ci riguarda.

Unione Sindacale di Base