Riprendere parola - riprendere a lottare
Il 2013 è iniziato ma sembra che nulla sia cambiato.
I dati sulla disoccupazione aumentano, come anche quelli sull'inflazione e il numero dei poveri e di coloro che non ce la fanno a curarsi o a pagare il mutuo o l'affitto, mentre diminuiscono le pensioni ed il potere reale dei salari.
Questa è la fotografia di un'Italia dove invece il 10% della popolazione vede aumentare del 15% il proprio reddito. Sicuramente corrisponde quasi del tutto a quel 10% che possiede il 50% della ricchezza del paese.
Quindi il divario tra ricchi e poveri aumenta in modo esponenziale schiacciando verso il basso quella che veniva chiamata la classe media e ciò avviene anche in una fase di crisi come l'attuale. Questo dimostra senza alcun dubbio almeno due cose: che la crisi non morde tutti ma soltanto una parte, la più consistente e debole e che, al contrario, chi è ricco proprio con la crisi vede aumentare ricchezza e reddito.
D'altra parte la ripresa della Borsa di questi ultimi mesi dimostra che chi possiede i mezzi economici e finanziari per investire nei mercati sta vedendo gonfiarsi il proprio portafoglio.
A questa situazione ci si arriva con un Monti rampante ed aggressivo che ha svestito i panni del “tecnico” ed ha assunto la sua vera fisionomia da uomo politico che difende determinati interessi nazionali ed internazionali e che sin dall'inizio del suo governo non ha fatto altro che politica, destrutturando il mondo del lavoro, le pensioni, i diritti ed impoverendo la maggioranza della popolazione spostando enormi risorse verso le banche e quindi verso la finanza e i grandi gruppi economici italiani ed esteri.
La campagna elettorale sarà impostata su chi è più montiano di Monti e non su che cosa serve veramente al paese ed alle fasce di popolazione che più stanno subendo gli effetti della crisi. Tutti (o quasi) accomunati anche dal rispetto dei patti e degli accordi fatti con la Germania e con l'Europa che conta, anche di quel Fiscal Compact che dovrebbe costarci 50 miliardi all'anno per i prossimi 20 anni, oltre ai quasi 100 di interessi sul debito, proprio per abbassare quel debito che non abbiamo determinato noi e che è servito ad alimentare i soliti noti e quella finanza creativa che sta distruggendo le economie di mezzo mondo.
Noi pensiamo invece che è proprio il debito pubblico che non dovrebbe essere pagato e che l'economia dovrebbe ricominciare ad essere reale e non virtuale, che lo Stato dovrebbe riprendersi non soltanto il ruolo di forte controllore, ma anche di soggetto attivo attraverso nazionalizzazioni e assunzione del controllo economico dei settori strategici.
Nonostante la nostra principale preoccupazione sia quella di fare bene sindacato, ci sembra che chi si appresta a governare questo paese sia preoccupato da altro. Siamo certi che gli orientamenti generali non si modificheranno, chiunque sia il vincitore tra le coalizioni che si incentrano sul PD, sul PDL o sul Monti-partito.
E allora continuiamo a fare sindacato ma senza tralasciare gli scenari generali che determinano le condizioni di chi lavora, senza minimizzare gli aspetti sociali che comporta una politica tesa esclusivamente alla difesa del “dio mercato” e dei suoi “sacerdoti”.
Per questi motivi il Congresso USB che inizia il suo percorso in questi giorni, che si svilupperà sui posti di lavoro e sui territori nei prossimi mesi e che terminerà con il Congresso nazionale confederale del 7, 8 e 9 giugno 2013, sarà l'ambito nel quale misurare le necessità, le forze e le idee che ci spingono a costruire un sindacato indipendente, conflittuale e di classe: il sindacato che serve ai lavoratori. Il sindacato che non intende abdicare al proprio ruolo come hanno fatto altri sindacati in questi anni, passando dalla concertazione alla collaborazione, dalla relatività al nulla completo del proprio intervento sui posti di lavoro e nei territori, per rinchiudersi nelle stanze del potere, condividere tutto ciò che gli viene proposto per poter continuare a sopravvivere e per alimentare quelle macchine burocratiche ed economiche che sono diventati i sindacati “ classici”.
Noi non ci stiamo e crediamo che sia giunto il momento per le lavoratrici ed i lavoratori italiani che vedono ridursi salario e diritti, per i disoccupati storici e per quelli che lo sono diventati in questi ultimi anni, per i i precari che riescono a fatica a rimanere tali, per i pensionati che per larga parte toccano o superano ormai la soglia di povertà, per i migranti senza diritti e per i giovani senza futuro, di scrollarsi di dosso quel senso di impotenza che sembra pervadere tutto e tutti e ricominciare a prendere parola ed a lottare per migliorare le proprie condizioni e riconquistare i propri diritti.