P.I.: Monti cede sul TFR. Non restituisce il 2,5% ma è costretto a ripristinare il TFS
In allegato il volantino
Con il decreto legge approvato il 26 ottobre dal Consiglio dei Ministri il governo corre ai ripari per evitare di restituire a oltre 2 milioni di lavoratori pubblici il contributo del 2,5% dichiarato illegittimo dalla recente sentenza N. 223/2012 della Corte Costituzionale.
La norma contestata è quella che prevedeva, a decorrere dal gennaio 2011, l’applicazione del calcolo del TFR anche ai lavoratori pubblici assunti prima del 2001, senza tuttavia sospendere il prelievo del 2,5% di contribuzione a carico del lavoratore previsto dalle norme relative al TFS.
Il governo, temendo un contenzioso generalizzato come quello avviato da USB, ha preferito ripristinare il vecchio calcolo della liquidazione per diluire nel tempo l’effetto della sentenza della Corte Costituzionale, evitando così di mettere immediatamente mano al portafoglio.
Con un successivo DPCM sarà invece definita la riliquidazione dell’indennità di fine servizio a quanti sono andati in pensione dal gennaio 2011 ad oggi.
Il decreto del governo estingue i processi pendenti e rende prive di effetti le sentenze emesse, tranne quelle passate in giudicato.
E’ incontestabile, quindi, quanto da sempre sostenuto da USB in merito al fatto che il TFR sia peggiorativo rispetto al TFS.
Resta l’inaccettabile disparità di trattamento per i lavoratori assunti dal 2001, obbligatoriamente in regime di TFR, sulla quale torneremo con specifico comunicato.
La risposta del governo alla sentenza della Corte Costituzionale riporta al centro dell’iniziativa sindacale anche la questione previdenziale.
Da parte dei gestori dei Fondi pensione del pubblico impiego CGIL-CISL-UIL-CISAL-UGL ci sarà un sempre maggiore accanimento per convincere i lavoratori a passare in regime di TFR e aderire alle forme di previdenza complementare.
USB sarà al contrario sempre più determinata nel far fallire questo obbiettivo nel pubblico impiego, sensibilizzando i lavoratori sulla necessità di costringere governo e sindacati compiacenti ad affrontare il tema della rivalutazione del sistema previdenziale pubblico.