Nuova disciplina per i riders: nasce il lavoratore a tutele minime, l’autonomo eterodiretto
La tesi ufficiale è che finalmente sono state introdotte delle tutele per i riders. La sostanza purtroppo è ben diversa.
Con la conversione in legge del D.lgs. del 3 settembre 2019 avvenuta lo scorso 2 novembre, il Parlamento ha definitivamente varato una serie di disposizioni che riguardano i lavoratori con contratto di collaborazione e, all’interno di questi, i ciclofattorini, meglio conosciuti come riders.
Va detto, innanzitutto, che la legge è intervenuta a sanare una situazione che si era venuta a creare in seguito alla sentenza della Corte di Appello di Torino del febbraio di quest’anno, che aveva riconosciuto applicabile ai riders la disciplina del Jobs Act (d.lgs. 81 del 2015 art.2) con il quale le tutele del lavoro subordinato sono state estese anche ai rapporti di collaborazione. E’ vero che la stessa Corte aveva dato una interpretazione restrittiva di questo principio, sostenendo che tra queste tutele non debba essere considerato il licenziamento illegittimo. Ma l’aver riconosciuto a questi lavoratori le tutele in materia di sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza ha costituito un indubbio avanzamento.
Ora la legge appena approvata interviene a rafforzare il principio sancito dal Tribunale piemontese, modificando (in meglio) lo stesso articolo 2 del d.lgs. 81 del 2015 ed affermando in modo ormai inequivocabile che ai contratti di collaborazione vanno applicate le tutele del lavoro subordinato.
Fin qui tutto bene, si potrebbe dire. E il commento avrebbe potuto essere: non se la sono sentita di riconoscere tout court i lavoratori in collaborazione come subordinati ma in fondo ci sono andati vicini. Senonché, con l’introduzione del capo V-bis al d.lgs. 81/2015 nominato “Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”, è stata contemporaneamente aperta la strada alla nascita di una nuova figura, quella del lavoratore a tutele minime, esattamente quello contrattualizzato tramite piattaforme digitali.
Il fatto che per questi lavoratori sia stato concepito un articolo a sé lascia intendere che per loro non si applicano le tutele dell’art.2, bensì una formulazione al ribasso delle stesse. Il testo su questo punto è contraddittorio e lascerà, ancora una volta ai Tribunali l’onere della interpretazione giurisprudenziale della norma. Di fatto però, l’articolo dedicato ai lavoratori delle piattaforme invece di prevedere un di più di tutele per loro in considerazione delle caratteristiche della mansione (pericolosità, lavoro usurante, mera esecutività, evidente eterodirezione, ecc), ha disposto un pacchetto di misure minime. In particolare si prevedono il diritto alla copertura assicurativa per infortuni e malattie professionali, il diritto alla stipula di un contratto scritto e a ricevere informazioni sulla sicurezza. L’unico articolo che potrebbe introdurre novità interessanti è quello che, oltre a vietare ogni discriminazione (ovviamente), introduce il divieto di esclusione dalla piattaforma o la riduzione delle occasioni di lavoro per mancata accettazione delle prestazioni. In questo caso, però, resta molto complicato prevedere come sarà possibile far valere l’esigibilità di questa norma.
Sul salario, denominato compenso, poiché i ciclofattorini vengono definiti dallo stesso articolo come lavoratori autonomi, si realizza il massimo dell’ipocrisia. Mentre la sentenza di Torino aveva comunque vincolato al rispetto della paga oraria corrispondente al V livello del ccnl della logistica, la nuova legge lascia spazio alla contrattazione collettiva per derogare a questo imperativo ed introdurre formule retributive “che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente”. Considerando che questa parte della legge entrerà in vigore solo tra un anno, Cgil, Cisl e Uil hanno dodici mesi per mettersi d’accordo con le parti datoriali e contrattualizzare il cottimo.
L’esito di una discussione cominciata più di un anno fa con l’allora ministro Di Maio è più che preoccupante. Invece di assicurare a questa nuova realtà del lavoro le tutele che ancora sono previste dalla legislazione sul lavoro, si è aperta la strada ad una terza figura a metà tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, con una lunga serie di tutele dimezzate. Siamo alla legalizzazione di quello che le piattaforme hanno introdotto in Italia in questi anni e che stanno già estendendo ad altri ambiti di attività, ben oltre la consegna del cibo a domicilio.
Per i riders queste norme possono essere un’occasione per sviluppare l’azione collettiva e rivendicare con più forza i propri diritti. E lo Slang-USB sta lanciando una campagna di informazione tra i ciclofattorini in diverse città per agire sindacalmente la nuova condizione normativa. Ma il rischio concreto è che molti settori di lavoro vedranno proliferare questa nuova figura superprecaria, l’autonomo eterodiretto, un ossimoro, frutto della diabolica fantasia di legislatori grillini e piddini, fortemente consigliati dagli esperti di Cgil, Cisl e Uil. Un lavoratore con molte meno tutele, che le piattaforme saranno libere di sostituire ai lavoratori che ancora conservano le tutele previste dalla legislazione vigente.