Note di contrasto al lavoro sottopagato
La riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni in Italia negli ultimi trent’anni è fenomeno ampiamente rilevato da enti e istituti nazionali e internazionali.
Si tratta di un dato che si inserisce in un contesto internazionale, e in particolare europeo, contraddistinto dal riaccendersi dell’inflazione causata in particolare dall’aumento dei prezzi energetici. La sofferenza delle retribuzioni in Italia, però, non è un dato esclusivamente congiunturale ma ha un’origine molto più antica e contraddistingue la dinamica salariale nazionale rispetto al resto dei paesi Ocse.
L'Istat nel rapporto annuale, “indica che, tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea; in Italia inoltre la "trappola della povertà" è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell'Unione europea e sta aumentando più che altrove, a confronto con il 2011.”
A provocare questa condizione hanno concorso diversi fattori tra i quali segnaliamo sinteticamente:
a) la frammentazione del sistema produttivo e la riduzione del peso delle grandi aziende;
b) una forte diminuzione del peso dell’economia pubblica;
c) processi di fortissima esternalizzazione e utilizzo spregiudicato del sistema degli appalti e subappalti in moltissimi settori, compresa la Pubblica Amministrazione;
d) l’introduzione di un’ampia diversificazione di modelli contrattuali che hanno incentivato la flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro e permesso l’introduzione di una lunga lista di contratti cosiddetti non standard o atipici.
A coronamento di questa condizione sono anche intervenuti gli accordi interconfederali, a cominciare da quello del 1993 con l’introduzione della “ moderazione salariale” e successivamente con un accordo nel quale si è agganciata la dinamica salariale (e contrattuale) a indici inflattivi depurati, sancendo di fatto una progressiva e inevitabile perdita di potere d’acquisto dei salari.
A questi fattori si sono poi aggiunte diverse altre distorsioni come i mancati rinnovi contrattuali nonché la tendenza crescente ad intervenire sulla parte variabile del salario, lasciando inalterata la paga base e facendo affidamento, per la dinamica salariale, sulla contrattazione di secondo livello, che però copre una quota molto limitata del sistema produttivo.
Intervenire a contrasto di questo fenomeno comporta l’utilizzo di un insieme di misure, giacché non è pensabile che un solo strumento possa consentire l’inversione di una tendenza che riguarda l’insieme del mondo del lavoro.
cancellando il part-time involontario; riducendo drasticamente la percentuale di contratti a tempo determinato sul totale degli occupati, introducendo causali rigide per la loro attivazione – in alcuni settori del lavoro privato i contratti a TD arrivano al 40% del totale occupati, mentre nel P.I. il TD può essere rinnovato per tre anni senza causale - introducendo sistemi di controllo e sanzioni alle aziende che non rispettano i minimi stabiliti per legge e praticano discriminazioni salariali sulla base del genere, della razza e dell’età anagrafica.
Agganciando il salario minimo ad un meccanismo di rivalutazione annuale in base a rilevatori efficaci dell’andamento dei prezzi al consumo (IPCA non depurato), consentirebbe di introdurre nel sistema salariale nazionale un sistema di protezione delle retribuzioni che oggi non esiste.
Una volta c’era la scala mobile
Secondo l’European Trade Union Institute gli stipendi in Italia sono oggi più bassi di 10 anni fa: dal 2009 al 2019 si sarebbero ridotti complessivamente del 2% tenendo conto dell’inflazione.
Secondo la grammatica economica neoliberale, maggiore flessibilità e minori salari, assieme ad un forte contenimento dell’inflazione, avrebbero dovuto aumentare l’occupazione e favorire la “crescita”: oggi sappiamo che le cose non sono andate così e quel modello neoliberale ha solo generato lavoro povero, abbassato la domanda interna, acuito le disuguaglianze economiche e sociali.
Non c’è stata né crescita né rilancio dell’occupazione nonostante i salari abbiano continuato a perdere terreno e la flessibilità abbia raggiunto il top. A incidere sul nostro potere d’acquisto sono stati, per esempio, i forti rincari subiti dalle tariffe dell’acqua, dei rifiuti, dei pedaggi autostradali e dei parcheggi, dei trasporti ferroviari, dei sevizi postali, dei trasporti urbani, dei taxi e dell’energia elettrica. Per non parlare poi dei costi per la salute, l’istruzione, i servizi sociali e gli affitti delle case.
C’era una volta la scala mobile, un sistema di indicizzazione dei salari, che consentiva di riadeguare periodicamente le retribuzioni in base all’andamento del costo della vita, valutato sulla base di un paniere di beni e servizi essenziali.
La tesi che si sostenne all’epoca per cancellare la scala mobile, era il 1985, argomentava che l’aumento periodico dei salari spingeva in alto l’inflazione e che se si voleva fermare la spirale bisognava fermare i salari, abolendo la scala mobile.
I fatti hanno dimostrato che lo stop ai salari ha contribuito ad una concentrazione della ricchezza verso l’alto, togliendo risorse ai lavoratori a favore delle imprese, delle banche, dei top manager, arricchendo così chi già era ricco ed impoverendo i gruppi sociali alla base della piramide sociale.
L’introduzione di un salario minimo per legge, superiore ai minimi tabellari di una fetta significativa di contratti, rappresenterebbe una parziale inversione di tendenza. Ma è indispensabile che questa misura sia legata ad un nuovo sistema di indicizzazione automatico, che faccia scattare gli aumenti periodicamente, in relazione all’aumento dei costi vitali.
Introdurre un salario minimo legale
L’USB sostiene da anni la necessità di introdurre un salario minimo per legge, cioè una soglia al di sotto della quale la paga oraria venga considerata illegale.
Come rilevato dall’ISTAT nel rapporto 2022 riferito al 2019 sono più di 5milioni i lavoratori con un salario minimo inferiore a 10 euro l’ora, sarebbero questi lavoratori a riceverne un beneficio immediato e diretto.
L’introduzione del salario minimo, tuttavia, non va considerata una misura di esclusivo sostegno alle categorie con minimi tabellari inferiori ai 10 euro orari, ma come fattore di spinta in avanti verso l’insieme delle retribuzioni.
La stessa legge dovrebbe prevedere un rapido adeguamento di tutti i CCNL alla soglia stabilita, producendo un effetto incentivante a mettere in moto la dinamica negoziale tra le parti.
Inoltre, questo adeguamento salariale delle categorie oggi maggiormente in difficoltà darebbe una spinta ad alzare i livelli retributivi anche nelle categorie con minimi già al di sopra della soglia.
Il salario minimo per legge non è una misura di scoraggiamento della contrattazione collettiva. Esperienze di altri paesi, come la Germania, dimostrano esattamente il contrario.
Una legge sulla Rappresentanza Sindacale
Definire una Legge sulla Rappresentanza sindacale è necessario.
La USB rivendica da tanti anni la necessità di introdurre una legge sulla rappresentanza sindacale che assicuri a tutti i lavoratori alcuni diritti fondamentali, tra cui certamente quello di poter eleggere le proprie Rappresentanze Unitarie (RSU).
La base di riferimento potrebbe essere quella della legge che da oltre 20 anni vige per i lavoratori del Pubblico Impiego, sia pure con le opportune modifiche che tengano conto di una serie di particolarità che contraddistinguono i diversi settori.
Quando si sostiene la necessità di rafforzare la contrattazione collettiva occorre tenere presente che in molti settori essa è puramente formale e non è riuscita a difendere il potere d’acquisto dei salari.
Soprattutto nei settori più frammentati, che sono poi quelli che soffrono le retribuzioni più basse, i rinnovi contrattuali non sono mai il frutto di un’autentica dinamica negoziale nella quale i lavoratori abbiano avuto la possibilità di partecipare ed esprimere la propria opinione.
Introdurre in tutti i settori del lavoro il diritto a poter eleggere le rappresentanze sindacali e quindi partecipare alle delegazioni trattanti avrebbe il merito di sostenere tutto il processo negoziale e produrre un effettivo rafforzamento della contrattazione.
Una legge sulla rappresentanza sindacale risponderebbe poi a molte altre necessità, non ultima quella di riconoscere la rappresentatività alle organizzazioni sindacali sulla base di dati oggettivi (per esempio numero iscritti e risultati elettorali).
Ma, in questo contesto, ci limitiamo a segnalare il ruolo che potrebbe svolgere nel rafforzamento della contrattazione, una legge che allarghi gli spazi di democrazia a milioni di lavoratori che ne sono sprovvisti.
Sull’introduzione del salario minimo per legge l’USB sta raccogliendo le firme insieme ad altre forze per la presentazione di una Proposta di Legge di Iniziativa Popolare qui di seguito.
Art. 1 Definizione
1. Ogni lavoratore di cui all’art. 2094 c.c., visto l’art. 36, comma 1, della Costituzione
ha diritto, con riferimento alla paga base oraria, ad un trattamento economico minimo orario non inferiore a 10 EURO lordi l’ora.
2. Qualora il datore di lavoro corrisponda una paga base oraria inferiore a quanto previsto al comma 1, il trattamento economico che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi
del comma 1 è quello del contratto collettivo nazionale di settore che stabilisce per i
lavoratori il trattamento economico di miglior favore e la cui paga base non sia
inferiore nel minimo a 10 euro all’ora al lordo degli oneri di legge, contributivi e fiscali.
3. La retribuzione oraria lorda minima di 10 euro deve intendersi riferita al livello di inquadramento più basso previsto dalla contrattazione collettiva.
4. Ogni lavoratore ha inoltre diritto al pagamento della tredicesima mensilità, delle retribuzioni differite, delle ore di lavoro straordinario, degli scatti di anzianità e altre competenze previste dai CCNL di settore applicati al rapporto di lavoro e che prevedano una paga base non inferiore a quanto previsto dal comma 1.
5. Ai fini dell’applicazione della presente legge è fatta salva l’applicazione al lavoratore / lavoratrice dei contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro che prevedono un trattamento economico minimo orario, corrispondente al livello di inquadramento più basso, superiore all'importo del trattamento economico minimo legale.
Art. 2 Meccanismo di rivalutazione
1. Con decreto del Ministero del Lavoro, il minimo salariale si rivalorizza alla data del primo gennaio e del primo luglio di ogni anno sulla base dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi dell’Unione Europea (IPCA).
Art. 3 Applicazione ai rapporti di lavoro non subordinato
2. Il compenso di cui al comma 1 non può essere complessivamente inferiore a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale - identificato secondo quanto previsto dall’art. 1 della presente legge - che disciplina, nel medesimo settore o in settori affini, mansioni equiparabili svolte dai lavoratori con contratto di lavoro subordinato, avuto riguardo al tempo normalmente necessario per fornire la stessa opera o servizio.
Art. 4 Sanzioni
- Il datore di lavoro che eroga al lavoratore un compenso inferiore a quello risultante dall’art. 1 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria.
- da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore retribuito in misura inferiore al salario minimo, in caso di impiego del lavoratore sino a trenta giorni di effettivo lavoro;
- da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore retribuito in misura inferiore al salario minimo, in caso di impiego del lavoratore da trentuno e sino a sessanta giorni di effettivo lavoro;
- da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore retribuito in misura inferiore al salario minimo, in caso di impiego del lavoratore oltre sessanta giorni di effettivo lavoro.
In relazione alla violazione di cui al presente articolo, trova applicazione la procedura di diffida di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, e successive modificazioni.
- Al datore di lavoro che consapevolmente affida l’esecuzione di opere o la prestazione di servizi a un soggetto che non rispetta quanto previsto dall’articolo 1 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di un importo da 500 euro a 1.000 euro per ciascun lavoratore, commisurato alla durata e all’entità della violazione.
- In deroga a quanto previsto dall’art. 16 della legge n. 689 del 1981, non si applica il regime del pagamento in misura ridotta. In caso di reiterazione si applicano le sanzioni di cui al comma 1 e 2 maggiorate per un terzo. In tutti i casi successivi alla prima reiterazione l’importo è elevato fino alla metà.
- In aggiunta alla sanzione amministrativa di cui al co.1, il datore di lavoro è tenuto anche, nei riguardi del lavoratore, all’erogazione di tutte le differenze retributive maturate fino all’applicazione della retribuzione di cui all’art. 1, co. 1, salvo il diritto al risarcimento di danni ulteriori.
- L’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui ai commi 1 e 2 comporta altresì l’esclusione, per la durata di tre anni, dalla partecipazione a gare pubbliche d’appalto di opere o di servizi, dalla concessione di agevolazioni finanziarie, creditizie o contributive e da finanziamenti pubblici di qualunque genere.
- L’apposizione di un termine alla durata di un contratto subordinato non è ammessa per le aziende che violano l’art. 1 della presente legge, per la durata di tre anni. In caso di violazione di tale divieto il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato.
Art. 5 Norme transitorie
I contratti o accordi di lavoro con paga oraria inferiore al trattamento minimo legale, di cui al all’art. 1, sono adeguati automaticamente entro sei mesi dalla data di pubblicazione della presente Legge.