No al summit della guerra! L’11 settembre mobilitiamoci a Roma

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È stato annunciato dal Sole 24 Ore il primo “Defence Summit”, appuntamento programmato dal giornale di Confindustria per l’11 settembre a Roma. La sala scelta è nelle disponibilità del Comune capitolino e della Regione Lazio, dimostrando ancora una volta come gli enti territoriali, amministrati da questo o da quello schieramento politico, si riempiono la bocca della parola “pace” per poi essere pienamente coinvolti nella promozione di iniziative che vanno in direzione opposta. Era già accaduto lo scorso 15 marzo, in occasione della piazza chiamata da Michele Serra e sostenuta con 270 mila euro di fondi pubblici tramite Zétema – società in house del Campidoglio che si dovrebbe occupare di eventi culturali – così come si verificò nuovamente ad aprile con l’iniziativa analoga promossa a Bologna dal sindaco felsineo e dalla collega fiorentina, e a maggio quando Comune di Napoli e Governo hanno ben pensato di sfruttare la cornice offerta dalle celebrazioni dell’anniversario dei natali della città partenopea per ospitare un vertice NATO.

L’evento in calendario per l’11 settembre, dal nome roboante, cade in un periodo in cui i venti di guerra soffiano sempre più forte. Lo sanno i palestinesi, il cui genocidio continua con il consenso statunitense e il silenzio complice degli apparati europei, e di fronte al quale risultano quantomeno tardive le prime contromisure indicate da alcune cancellerie continentali, mentre lo stato terrorista di Israele si prepara all’invasione di Gaza dopo aver portato il quadrante sull’orlo di una crisi generale con i recenti attacchi all’Iran. Ma il clima di guerra si respira a tutte le latitudini: nei giorni in cui corre l’anniversario delle bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki, Trump rilancia lo schieramento dei sottomarini nucleari come contromisura per la recente decisione di Mosca di non aderire più agli obblighi imposti dal Trattato INF riguardo al principio di non proliferazione di armi nucleari e di dispiegamento di missili a corto e medio raggio, Convenzione abbandonata dagli USA già nel 2019. 

In questo quadro, il sistema politico, industriale e mediatico italiano corre a indossare l’elmetto. Se infatti in primavera il governo Meloni si è subito messo a disposizione dei progetti europei di riarmo, in linea con quanto stabilito all’inizio dell’estate dalla NATO riunita all’Aja prevedendo l’aumento delle spese in campo militare fino al 5% del PIL, le opposizioni pongono i distinguo sulle forme ma non hanno intenzione di distaccarsi dal punto di fondo: occorre rafforzare l’apparato difensivo comunitario, sostenere gli sforzi per la difesa dei valori occidentali nel mondo che cambia. Così, quando a luglio nel Parlamento Europeo si è posta l’occasione di votare la sfiducia a Von Der Leyen, si sono tutti ben guardati dal togliere il sostegno a colei che nell’Unione Europea meglio incarna il bellicismo delle nostre classi dirigenti. Neanche una settimana dopo, la Commissione Europea presentava la nuova proposta per il bilancio 2028-34, nel quale l’eccezionalità dell’attuale piano Rearm EU viene assorbita destinando strutturalmente centinaia di miliardi di euro al settore bellico. 

Dal canto loro, gli apparati mediatici continuano a tambur battente a costruire il contesto discorsivo dentro cui il clima di guerra viene normalizzato, cercando in tutti i modi di creare quel consenso popolare che i sondaggi ci dicono essere molto lontano: dopo la messa in scena del suprematismo europeo organizzata da La Repubblica in Piazza del Popolo, contro cui si è attivata un grande mobilitazione popolare nel marzo passato, tutte le principali testate hanno continuato ad alimentare il fuoco della spirale bellica con ancora più costanza di quanto dimostrato negli ultimi anni. Con la benedizione del ministro Crosetto, tocca oggi al Sole 24 Ore indire il primo Summit della Difesa durante il quale capi di stato maggiore e industriali si incontreranno a Roma il prossimo 11 settembre.

Proprio l’industria bellica si sfrega oggi le mani, e non potrebbe essere altrimenti: mentre l’economia rallenta frenata dall’accordo capestro sui dazi imposto dagli USA (particolarmente evidenti i dati relativi al secondo trimestre italiano), da sempre la conversione militare dell’apparato industriale risulta la valvola di sfogo per antonomasia per ogni sistema in crisi. Così aumentano gli investimenti nella difesa da parte delle grandi multinazionali, così aumentano le quotazioni delle aziende coinvolte più o meno direttamente nel settore. Non è un caso che proprio per aver denunciato gli interessi economici di grandi compagnie nel genocidio in corso in Palestina, Francesca Albanese è stata sanzionata dal governo statunitense. E Mattarella ancora tace.

Di fronte a questa costante escalation, mentre le condizioni di vita continuano a peggiorare, la maggioranza della popolazione italiana rifiuta la guerra, e alcune importanti occasioni di resistenza si mostrano nel paese: dagli studenti in mobilitazione permanente, alla capacità dimostrata dai lavoratori portuali di Genova di bloccare il traffico di armi, passando per altri piccoli e grandi episodi di resistenza, inizia a crescere la capacità di mettere in campo istanze diverse unite dal comune rifiuto allo scenario presente e futuro che vorrebbero imporci. 

Il 21 giugno appena passato, a decine di migliaia abbiamo urlato il nostro No alla guerra e a ogni forma di riarmo: una rappresentazione importante di un blocco sociale composito e combattivo ha manifestato per le strade di Roma a partire da Piazza Vittorio Emanuele per indicare la necessaria strada di fuoriuscita dalla NATO e per ribadire le proprie ragioni, non inscrivibili nel perimetro del bipolarismo a cui ci vorrebbero condannare. Alla ripresa di settembre, dobbiamo farci trovare pronti e determinati, e ci organizziamo da subito affinché l’11 settembre possa essere un primo importante momento di lotta. Il festival romano “Figli della stessa rabbia” in programma per il prossimo 5-6 settembre al Circolo Arci Concetto Marchesi al Tiburtino III sarà un appuntamento utile per serrare le fila e confrontarci sul da farsi.

 

Coordinamento Disarmiamoli