Nel paese dove si spendono 14 miliardi per gli F35 la salute non è più un diritto
Nelle stesse ore in cui il Senato dava il via libera all’acquisto dei caccia F35, l’Istat da una parte e Cittadinanzattiva dall’altra presentavano i rispettivi rapporti annuali dagli esemplificativi titoli: “la povertà in Italia” e “meno sanità per tutti”.
Una coincidenza temporale dal sapore di un pugno nello stomaco.
Ma anche l’ennesima conferma che la presunta insostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (del welfare in generale) altro non è che una precisa scelta ideologica compiuta in ossequio ai diktat degli organismi internazionali.
La spesa sanitaria italiana rimane, infatti, ben al di sotto della media europea e siamo il fanalino di coda nella prevenzione.
L’idea di una presunta insostenibilità – sdoganata da Monti per favorire la sanità integrativa privata - di un sistema sanitario pubblico è talmente falsa che il nostro Sistema Sanitario nazionale produce oltre l’11% di PIL assorbendone solo il 7,1%!
I dati che affiorano dal Rapporto annuale di Cittadinanzattiva sono agghiaccianti ma non nuovi per quanti, noi tra questi, ogni giorno lottano per (ri)conquistare una sanità pubblica per tutti e tutte, gratuita e di qualità.
Per la prima volta in 16 anni emerge chiaramente che il principale problema degli italiani risiede nell’impossibilità di accedere alle prestazioni sanitarie del servizio pubblico – esattamente come avviene per i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo - e le cause risiedono, fondamentalmente, nell’insostenibilità del costo di ticket e intramoenia e nelle infinite liste d’attesa.
Due problemi cronici della sanità pubblica che la crisi economica ha stretto ancor più in una spirale negativa, costringendo milioni di persone a passare dal pagamento alla rinuncia delle cure.
Le più penalizzate sono le regioni del centro sud, grazie agli effetti di quel federalismo che ha costretto alcuni territori a tornare al livello del secondo dopoguerra, e le donne.
Ai 9 milioni di italiani che dall’inizio della crisi hanno rinunciato a curarsi per problemi economici sono inevitabilmente destinati ad aggiungersi una moltitudine di nuovi poveri, assoluti e relativi, fotografati dall’Istat.
Una povertà in ascesa che colpisce non più solo i ceti popolari, i redditi da pensione, il lavoro privato ma arriva fin dentro il lavoro pubblico “garantito”.
Il boom di richieste di prestiti personali finalizzati alle spese mediche (odontoiatriche in primis) è l’esempio dell’ulteriore superamento dell’asticella tra civiltà e barbarie.
Stiamo pagando il prezzo di anni di definanziamento del sistema sanitario pubblico (meno 30 miliardi tra il 2013/2015 con effetti retroattivi), del taglio dei posti letto (45.000 dal 2010), della politica di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi, del blocco quasi totale del turn over.
Un definanziamento pagato direttamente dai cittadini e un’assistenza sanitaria accollata dallo Stato interamente sule spalle delle famiglie.
Nonostante ciò la sanità rimane un campo privilegiato nel quale fare profitti: non solo i miliardi sottratti vanno a finire nel pozzo senza fine del debito, degli interessi di banche, assicurazioni e fondi d’investimento ma il settore mantiene un rapporto privilegiato con banche, mattone e sistema degli appalti.
Se, come recita il Rapporto il Servizio Sanitario Nazionale come lo abbiamo conosciuto è un lontano ricordo e se, diciamo noi, un diritto primario finisce per non essere più tale, è sicuro che non intendiamo rassegnarci.
Alle politiche di austerità che stanno impoverendo sempre più strati di popolazione e minacciando la nostra salute e sopravvivenza risponderemo con la lotta in tutti i territori per la difesa della salute e la conquista di un servizio sanitario pubblico degno di questo nome.
Uno dei tanti validi motivi per partecipare allo SCIOPERO GENERALE DEL 18 OTTOBRE PROSSIMO.