Marx per delegati

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Pubblichiamo il testo della recensione che conclude l’appena pubblicato volume di Proteo, rivista del Cestes e di USB, dedicata a una recente pubblicazione su Marx. L’intero volume e il taglio della recensione sono pensati nell’ottica della ripresa di un lavoro di formazione teorica e politica sui fondamentali del pensiero del movimento di classe, che è al centro del numero.

 

 

Marx per delegati (e militanti). A proposito del Marx di Roberto Fineschi, Ed. Morcelliana 2021

Lorenzo Giustolisi

 

Tra le tante recensioni che hanno accompagnato l’uscita di questo importante volumetto, non sono mancate certamente considerazioni sul senso di una operazione editoriale e culturale, concepita e realizzata con l’intento chiaro di avviare alla lettura e alla comprensione di Marx un pubblico largo e nuovo.

Segnalare questa pubblicazione in una rivista come «Proteo» – oltre che sui siti del Cestes e di USB – da venticinque anni impegnata in un lavoro di analisi delle dinamiche di trasformazione sociale ed economica e delle grandi questioni che attraversano il mondo della produzione e del lavoro nel nostro Paese, ma anche a livello internazionale, significa rivolgersi ad una fetta, crediamo presente nelle intenzioni del nostro autore, di quell’auspicabile pubblico “largo e nuovo”, fatta di delegati e attivisti sindacali, sociali, militanti politici, che sono peraltro i destinatari di questo numero della rivista. È una questione, quella del bagaglio teorico dei quadri e dei delegati, che ha attraversato tutta la storia del movimento operaio e delle sue lotte, nella consapevolezza che non si trattava né si tratta di fare diventare tutti specialisti, ma che 8 ore di lavoro, 8 per dormire, 8 per lo svago e per migliorarsi, è stato un precetto che, al di là delle variazioni orarie (spesso a scapito del riposo…), continua ad avere anche oggi un enorme senso.

Il nome di Roberto Fineschi è certamente indicato per il compito appena accennato, che ha a che fare con quella che il suo maestro Alessandro Mazzone definiva “alta popolarizzazione”, per la lunga e proficua consuetudine negli studi marxiani che si traduce, fra le altre cose, nella ricerca di un linguaggio adeguato agli scopi (una attitudine che lo caratterizza da sempre, ma qui perseguìta in maniera più programmatica), senza perdere in profondità (e ovviamente anche in complessità, per cui nessuno immagini un testo semplice), mentre dice qualcosa sullo stato dell’editoria in questo paese il fatto che a prendersi carico (e merito) della pubblicazione sia stata una casa editrice di chiara matrice cattolica.

L’indice del volume è molto lineare. Si parte da alcune pagine di breve necessaria biografia, passando poi a una attenta analisi delle opere, suddivise tra un prima, ciò che precede l’inizio della scrittura del Capitale, e la fase successiva, con l’elaborazione e la laboriosa costruzione di una teoria del capitale. Segue una parte molto opportuna nell’ottica dell’avviamento alla lettura di un autore così difficile, organizzata per Concetti chiave: Materialismo storico/materialismo dialettico; Lotta di classe/Rivoluzione; Comunismo; Metodo dialettico; Alienazione e feticismo della merce; Valore-lavoro e trasformazione.

Si tratta, come ben si vede, dei nodi “classici” del pensiero marxiano, e tuttavia rivisitati (non stravolti), alla luce di una monumentale operazione filologica, quella della MEGA2 (vedi pp. 173-174), che a partire dalla sterminata mole di  manoscritti redatti da Marx (e da Engels) in vita, propone ormai da decenni l’edizione critica di tutti i testi del Moro, offrendo agli studiosi una serie di elementi innovativi di lettura che hanno delle “conseguenze” a livello di interpretazione; una fra tutte quella della teoria del “valore-lavoro” mai utilizzata da Marx, ma centrale in tutta la “storia della ricezione” (titolo dell’ultima sezione prima di una utile bibliografia), che non è in nessun caso un fatto relegato al mondo della interpretazione dei testi, ma che mai come in questo caso - per le implicazioni pratiche e politiche che il pensiero di Marx ha storicamente determinato - ha prodotto una vulgata che non ha rispondenza nella lettera e nel sistema concettuale. Si tratta di una questione di metodo non da poco, che il volume pur nella sua intenzione divulgativa non elude, e che è uno degli insegnamenti più utili rispetto alla costruzione delle lenti con cui leggiamo, interpretiamo e pensiamo infine di modificare “lo stato di cose presenti”.

Sbagliare lettura è un problema pratico, non sapere leggere i processi e le tendenze è un difetto o un limite che produce errore politico (beninteso, leggere adeguatamente la realtà non salvaguarda dall’errore politico, perché man mano che si scende dall’alto livello di astrazione della teoria di Marx alle configurazioni concrete, si innestano una serie di altri elementi di complessità, per cui avere ragione in generale non significa mai automaticamente avere ragione nel concreto). Certamente aiuta enormemente avere una teoria di riferimento e dei formidabili strumenti interpretativi dei fenomeni del presente, quali la crisi, la mondializzazione, lo sfruttamento, il conflitto di classe, pane quotidiano per chi sceglie di dedicarsi al lavoro politico, sindacale e sociale.

Un altro punto di interesse è quello che riguarda una lettura che a lungo si è affermata, per ragioni storiche e materiali e non certo per capriccio, per la quale “storicamente, al posto del lavoro salariato, ha prevalso un’interpretazione del concetto di classe limitata all’operaio di fabbrica [che] riduce la forza teorica e le possibilità applicative della teoria marxiana in quanto l’altro del capitale è il lavoro salariato, non solo l’operaio”. Superare questo fraintendimento, come d’altronde la nostra analisi su La grande fabbrica. Dalla catena di montaggio alla catena del valore (Proteo, 5/2016) ha mostrato in maniera molto chiara, insieme a tanti altri momenti di analisi della attuale configurazione della classe sfruttata, è fondamentale.

Tanti altri esempi di questa relazione virtuosa tra impianto teorico e analisi del presente potrebbero farsi, ad esempio ridefinendo bene il rapporto tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, uscendo da concezioni iper-restrittive del primo dei due, e comprendendo adeguatamente il secondo in una teoria della riproduzione sociale che oggi non ha le forme del Diciannovesimo secolo, ovviamente, ma neanche gli stessi caratteri del Ventesimo. E questo lo prova anche la crescita dell’esercito industriale di riserva, a fronte di un aumento enorme della produttività del lavoro, e dell’esclusione sempre più sistematica di fasce consistenti di popolazione mondiale dai diritti sociali, civili e politici, e dalla configurazione stessa del concetto borghese di persona. Un tema che stravolge anche le tradizionali forme del lavoro sindacale.

Il libro è un ottimo strumento per un avviamento alla lettura di Marx, potrebbe funzionare molto bene nelle scuole, essendo utile a docenti di svariate materie, dalle discipline sociali a quelle storico-filosofiche, passando ovviamente per quelle economiche. C’è insomma una varietà di soggetti sociali e lavorativi, se ne è fatto qui solo un esempio, che sono potenziali interlocutori, si spera sempre più attivi, di un “lavoro culturale”, per usare l’espressione di Luciano Bianciardi, che è anche politico purché “non butti tutto in politica”. Marx ha fatto politica, ma non ha fatto solo politica. Sapere coniugare questi livelli è sempre più tra i compiti degli “intellettuali-politici” (come Roberto Fineschi), e dei “politici-intellettuali” (come cerchiamo di essere noi, come intellettuale collettivo e organico al movimento di classe). Buona lettura!