L’insopportabile predica di Visco sulla moderazione salariale
Il governatore della Banca d’Italia, che a ottobre si appresta a lasciare la guida dell’istituto, ha tenuto ieri il suo ultimo discorso sulla Relazione annuale, le cosiddette Considerazioni finali del Governatore. E mentre i media hanno riportato con grande enfasi il suo rapido cenno alla necessità di introdurre un salario minimo “definito con il necessario equilibrio” (sic!), pochi hanno colto il messaggio principale in materia di salari che Visco ha voluto mandare, per l’ennesima volta, a tutto il Paese.
A fronte di una inflazione al consumo salita nel 2022 all’8,4 % in media d’anno e poi scesa al 7% nella primavera dell’anno in corso (sono i dati citati dallo stesso Visco nelle sue Considerazioni), la crescita delle retribuzioni nell’area dell’euro si è collocata poco al di sopra del 3,5% “restando quindi nettamente inferiore all’inflazione”. Ci si sarebbe aspettati, con questi dati inequivocabili, un richiamo a favorire l’aumento dei salari, e invece Visco ha proseguito così: “Grazie alla limitata presenza di meccanismi automatici di indicizzazione all’inflazione passata, alla natura una tantum di una parte significativa degli incrementi retributivi e in assenza di diffusi rialzi dei margini di profitto, il rischio di una rincorsa tra prezzi e salari fino a questo punto si è mantenuto moderato”. Il Governatore quindi ci sta dicendo che, proprio grazie alla scomparsa della scala mobile, l’aumento dei prezzi non si rispecchia nelle retribuzioni e che possiamo essere contenti del fatto che l’inflazione si sta mangiando i nostri redditi!
Quanto poi al fatto che non si assista a rialzi dei margini di profitto le affermazioni di Visco sono più che dubbie. Sia perché, dalle stesse fonti BCE, è emerso che il rincaro dei prezzi energetici è dovuto solo per un terzo all’aumento dei costi e per i restanti due terzi all’aumento dei margini di guadagno delle imprese. E soprattutto perché lo stesso Bollettino della Banca d’Italia dell’aprile di quest’anno chiarisce che “la quota di profitti delle imprese (definita come rapporto tra margine operativo lordo e valore aggiunto) è cresciuta in tutti i maggiori paesi, superando i livelli prepandemici in Germania, in Italia e Spagna”.
Va detto poi che il Rapporto annuale dei Settori Industriali, pubblicato di recente da Intesa Sanpaolo e Prometeia, ha riportato come il fatturato dell’export manifatturiero supererà nel 2023 la quota simbolica del 50% del totale. Un dato, quest’ultimo, che dimostra come l’industria del nostro Paese sia sempre più proiettata verso l’estero, sfruttando il costo sempre più basso della manodopera italiana e tenendo presente la depressione dei consumi interni, dovuti proprio alle retribuzioni in calo. E che significa che i padroni in Italia non hanno alcuna intenzione di far crescere l’economia interna ma continuano a promuovere uno sistema tutto orientato verso l’esportazione, nella quale i salari bassi e la forte precarietà del lavoro costituiscono le condizioni indispensabili per il funzionamento del sistema.
Un quotidiano riportava ieri che il Governatore in uscita, nel 2011 guadagnava circa 600mila euro l’anno, ma che poi, volendo dare il buon esempio, si è ridotto lo stipendio a “soli” 450mila euro.
Unione Sindacale di Base
P.S. a proposito di salario minimo “definito con il necessario equilibrio”, sarebbe interessante chiedere al Governatore quale sarebbe la misura di tale equilibrio!
Roma 1°/6/2023