La solita Bomba(ssei) di Confindustria...
In Italia ci sono 4,5 milioni di imprese, in cui lavorano 17,5 milioni di persone.
Le imprese con meno di dieci addetti sono 4,3 milioni, vale a dire il 95% dell’intero sistema e danno lavoro a quasi il 50% di tutti gli addetti (oltre 8 milioni di persone), questo dice l’Istat. Tra i 10 e i 249 dipendenti vi sono 225 mila imprese, in queste lavorano quasi 6 milioni di persone.
Da ultimo le imprese con oltre 250 addetti sono solo 3.718 e danno lavoro a oltre 3,5 milioni di persone. Sopra i 50 dipendenti vi sono in tutto poco più di 25mila imprese, che danno lavoro a 5,7 milioni di persone.
Ora con questi numeri impressionanti, che svelano come il nostro sia un paese di piccole e piccolissime imprese, qualcuno continua a sostenere l’esigenza di chiudere con l’esperienza del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e di convertirsi rapidamente al contratto aziendale.
Questo è l’impianto proposto da Bombassei, il vice della presidente di CONFINDUSTRIA Marcegaglia, anche per rispondere all’uscita delle newco FIAT da Confindustria e lanciare così a Marchionne un assist per invitarlo a rientrare nel sistema confindustriale.
A parte il fatto che non si capisce bene, in un sistema in cui le aziende siano chiamate a contrattare direttamente in azienda, cosa resti della funzione di Confindustria che è la Confederazione delle imprese e quindi deputata a negoziare i contratti nazionali e le grandi questioni che riguardano tutto il mondo del lavoro e delle imprese, rimane il fatto che la contrattazione aziendale ovviamente non riguarderebbe quegli 8 milioni di lavoratori che operano nelle aziende con meno di dieci addetti.
Immaginatevi il padroncino di quelle realtà microscopiche sedersi al tavolo a negoziare faticosamente con rappresentanze, probabilmente esterne all’azienda, il contratto dei suoi sei o sette lavoratori, ad inventarsi i livelli di inquadramento, a regolamentare turni e straordinari ecc. ecc.
L’idea quindi non è affatto brillante ed anche un bambino capirebbe che è tecnicamente di difficile realizzazione. Ma allora perché la si tira fuori ad ogni piè sospinto? Perché da tempo si martella sulla inderogabile necessità di dare più forza al contratto aziendale rispetto a quello nazionale?
Ci sono almeno due buoni motivi per i padroni, e per il loro esecutore Sacconi, per spingere in questa direzione: rendere il lavoro sempre meno protetto – immaginatevi quale forza contrattuale possano esprimere sei o sette operai di una piccolissima azienda di fronte alle richieste sempre più pesanti del proprio padrone di aumentare l’orario di lavoro, i ritmi o i turni, magari a parità di salario – e quindi realizzare quella flessibilità e quello sfruttamento totale che è il vero sogno di dominio del capitale sul lavoro; il secondo obbiettivo è smantellare la presenza del sindacato come attore delle relazioni industriali a livello generale, capace di negoziare accordi e contratti generali e nazionali che sappiano tutelare anche quei lavoratori di quelle aziende che non avrebbero alcuna chance di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro partendo dal proprio microcosmo lavorativo.
In poche parole si vuole cancellare il ‘900, le sue conquiste e le sue certezze. In questo i padroni trovano anche il pieno appoggio delle organizzazioni concertative che seppur con alcuni distinguo, sempre più flebili in verità, si dispongono in cambio di qualche cospicua briciola (enti bilaterali, certificazione dei contratti di lavoro, patronati ecc.) a stabilizzare definitivamente il già avvenuto cambio della propria natura.
C’è, ovviamente da bruciare il terreno dietro di loro. Nessuno dovrà avere la possibilità di mantenere davvero il ruolo di sindacato che assieme ai lavoratori organizza il conflitto per pretendere migliori condizioni di lavoro e di vita, per riaffermare i diritti dei lavoratori.
Per questo metteranno mano alla rappresentanza sindacale, per eliminare dalla scena tutti coloro che non accettano la concertazione.
Per questo, oltre a mantenere sempre vivo il conflitto nelle piazze e nei luoghi di lavoro, abbiamo costruito la proposta di legge di iniziativa popolare “Carta dei diritti democratici e di rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori”.
Per questo bisogna partecipare alla campagna per la raccolta delle firme necessarie a presentarla e a farla diventare un ostacolo ai progetti dell’avversario di classe.