La bufala delle liberalizzazioni: riportare al centro del dibattito il conflitto sociale
Forse Monti, i suoi ministri e gran parte dei politici italiani pensano che tutti gli italiani siano un gregge di pecore senza cervello che si “bevono” le sonore baggianate che vengono distribuite a piene mani sulle liberalizzazioni e che secondo lor signori produrrebbero rilancio dell'economia, aumento del Pil a due cifre, nuova occupazione e riduzione della disoccupazione, diminuzione dell'inflazione e chi più ne ha più ne metta in un crescendo di presunti eventi positivi che fanno dire a Monti che dopo il decreto salva-italia siamo di fronte a quello di cresci-italia.
Oltre a non credere ai miracoli, noi non crediamo neanche alle strumentalizzazioni che non hanno nessun fondamento e che sono finalizzate a ben altri obiettivi.
In realtà siamo di fronte a due fatti incontrovertibili.
Il primo è che le liberalizzazioni non equivalgono automaticamente a crescita economica ed a sviluppo dei consumi e ciò è verificabile, in Italia come nel resto del mondo, dai precedenti che si sono succeduti in questi ultimi anni. Soltanto in alcuni casi specifici ciò è accaduto e molte volte scaricando le perdite sullo stato e lasciando i profitti ai privati: nel resto dei casi le liberalizzazioni, a parità di produzione, ha prodotto più disoccupazione e più utili per i privati.
Se poi ciò avviene in una fase di estrema ed evidentissima recessione, le liberalizzazioni diventano uno strumento esclusivamente ideologico e assolutamente deleterio anche per l'economia e l'occupazione.
D'altra parte è anche difficile spiegare ragionevolmente come 5000 farmacie in più producano sviluppo: che vuol dire che saremo invogliati a comprare più farmaci? O che un po' di tassisti in più produca qualche cosa di positivo in una situazione nella quale le città sono ingolfate dal traffico privato perché non c'è un numero sufficiente di autobus e metropolitane. O che l'apertura dei negozi sino a notte riproduca miracolosamente i nostri soldi nel portafoglio in modo da spenderne di più?
Il secondo elemento da considerare è che proprio la caratteristica ideologica delle liberalizzazioni sta nascondendo il vero affare: le privatizzazioni delle aziende pubbliche, dei servizi, dei trasporti.
Dalle ferrovie dove non si applicherà il contratto nazionale e la rete, cioè i binari che necessitano di manutenzione continua saranno legati al pubblico e i treni e le stazioni, che producono utili, verranno rapidamente ceduti ai privati.
Ai trasporti pubblici locali e a tutte le altre aziende che gestiscono energia, igiene urbana ( per l'acqua stanno aspettando il momento più opportuno...) e che verranno cedute ai privati in modo progressivo, sicuramente svuotate dei debiti che saranno accollati al pubblico, regalando profitti ai privati e disoccupazione e condizioni salariali e di lavoro peggiori per chi ci lavora.
Questo è il grande inganno che sta passando con la complicità di gran parte delle forze politiche e sindacali.
A ciò dobbiamo contrapporre la realtà di un lavoro vessato e colpito duramente dalle misure economiche degli ultimi anni, da maggiore disoccupazione, da un'inflazione che sommata al blocco dei salari sta riducendo fortemente il potere d'acquisto dei salari.
Dobbiamo contrapporre la rabbia di chi non ce la fa più a vivere la propria condizione precaria o di cassaintegrato o di disoccupato o di senza casa, o di studente senza futuro, pensionato ormai ridotto alla povertà, di migrante che vive una situazione di estrema incertezza per il proprio futuro in questo paese.
E dobbiamo contrapporre il dissenso di tutti quei cittadini che non vogliono pagare un debito che non hanno prodotto e che ritengono ci sia un diverso e migliore modo di produrre e di vivere.
Lo sciopero generale del 27 gennaio e la manifestazione nazionale a Roma devono diventare il collante di tutto questo dissenso per dare una risposta forte che rimetta in moto il conflitto sociale in questo paese e che rimetta al centro il lavoro e il non lavoro, infischiandosene del mercato, delle borse, del debito e delle banche.