La battaglia sui Fondi Strutturali Europei
L’insediamento del nuovo parlamento europeo ha finalmente acceso i riflettori sulla questione dei fondi strutturali in Italia dopo vent’anni di silenzio e di malaffare.
E va riconosciuto al M5S il coraggio di denunciare con forza a Strasburgo quel complesso sistema di corruttele che ha garantito che i fondi fossero spesi male, restituiti al mittente o servissero a finanziare clientele e filiere del malaffare.
Una denuncia importante, a cui le rappresentanze delle Regioni hanno reagito con evidente fastidio, poiché si accingono a chiudere proprio in questi giorni i documenti di programmazione da sottoporre al vaglio della CE.
E’ un momento assai delicato, l’ok di Bruxelles è il loro obiettivo prioritario, e vogliono sedare qualunque dubbio sulla capacità del nostro paese di utilizzare queste nuove risorse economiche (oltre 110 miliardi di euro) in modo diverso da come è stato in passato.
Falso, già in questa fase appare evidente che nulla è cambiato: la nuova programmazione 2014-2020 è debole (la Commissione europea ha respinto la prima bozza del documento nazionale con ben 352 osservazioni critiche), scarsa o pressoché nulla la tanto auspicata integrazione tra fondi per le infrastrutture, per l’occupazione e l’inclusione sociale, finta l’apertura delle istituzioni ad una programmazione partecipata.
Le esperienze che stiamo seguendo in alcune regioni sono molto esemplificative: grandissimi ritardi, enormi incompetenze, poca trasparenza, lotte intestine tra le istituzioni per il controllo dei fondi.
E come in passato, a rimanere esclusi sono sempre i cittadini e finanche le istituzioni locali, che le Regioni evitano di coinvolgere realmente nella programmazione della gestione dei fondi.
Si programma senza una riflessione attenta sul cosa ha/non ha funzionato nel passato, quanta e quale occupazione hanno fino ad oggi prodotto questi fondi, quali investimenti abbiano realmente sollecitato lo sviluppo economico e sociale dei territori.
Tutto appare come un grande esercizio di stile volto a dimostrare alla CE che in tecnicismo siamo diventati veramente bravi.
La vera attenzione delle Regioni e Ministeri non è riposta sui cittadini, che costituiscono i veri destinatari di queste risorse, ma alla partita che si gioca con la Commissione UE.
E nel frattempo si affaccia un nuovo pericolo: spostamento graduale di risorse economiche dalle regioni ai livelli centrali (Ministeri e Presidenza del Consiglio dei Ministri) come la carta vincente (peraltro già sollecitata da Bruxelles) per non imbattersi negli errori del passato.
Qualcuno già saluta l’Agenzia della Coesione territoriale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (unico caso in Italia di ente pubblico con personale assunto a tempo indeterminato a valere sui fondi strutturali) come il garante della buona attuazione dei fondi in Italia.
Una sorta di primo banco di prova della riforma del Titolo V° della Costituzione: dopo l’abolizione delle Province e l’indebolimento dei Comuni, ora tocca alle Regioni perdere competenze.
Ma l’accentramento delle risorse economiche non risolverà alcun problema reale sull’uso ed abuso di questi fondi poiché la storia ci insegna che la corruttela e l’intreccio con il malaffare interessa l’intero sistema politico italiano a tutti i livelli di governo.
Anche la logica con la quale l’Europa sovraintende alla gestione dei Fondi è ambivalente. Rilevante è l’enfasi sull’uso trasparente dei fondi, sull’attenzione alla partecipazione dei cittadini, sulla coerenza tra bisogni e azioni messe in campo per la loro risoluzione, sul superamento di una politica italiana che ha polverizzato le risorse in tanti piccoli interventi che nulla hanno prodotto di significativo per lo sviluppo dei territori.
Ma accanto a tutto ciò, vi è quell’Europa che detta all’Italia e agli altri paesi UE il suo modello di sviluppo socio-economico e su tali scelte non è ammessa alcuna replica.
La ricerca (pubblica e privata) è svilita a mero strumento di trasferimento tecnologico al sistema imprenditoriale, il sostegno economico è rivolto esclusivamente alla gestione privatistica dei servizi (anche quelli di pubblica utilità) e la flessibilità del lavoro è il mantra su cui far leva per costruire nuova occupazione.
La logica dei fondi strutturali è gravida dei principi della concorrenza e del libero mercato, gli unici in grado di garantire la ripresa economica, mentre l’interesse collettivo è contemplato solo nella misura in cui soddisfi i criteri economici dominanti.
Anche sul fronte delle politiche per l’occupazione vengono riproposti dispostivi che hanno già dimostrato di essere fallimentari e che si sostanziano in crediti d’imposta alle imprese per l’assunzione di determinate categorie di lavoratori. Garanzia Giovani altro non è che una serie di misure (peraltro già sperimentate) centrate sull’occupabilità (tirocini, stage all’estero, ecc.) invece che sull’occupazione. Sarebbe bastato anche solo il monitoraggio di queste politiche, magari gestito da un ente pubblico terzo, e una loro valutazione pubblica per svelare cosa abbiano prodotto tali fondi e soprattutto, quali politiche nazionali e regionali – sostenute dalla UE – non fosse più opportuno alimentare in questa nuova programmazione.
Ma il monitoraggio e la valutazione delle politiche pubbliche non è cultura che appartiene alle nostre istituzioni, abituate ad esternalizzare tali servizi ad imprese private o agenzie comunque condizionabili.
Costruire un reale cambiamento in questo contesto non sarà facile. La vertenza che abbiamo avviato come USB è solo all’inizio e c’è bisogno di un lavoro di rete con altre rappresentanze della società civile per smontare questo sistema. Va considerata l’opportunità di far leva sul ruolo della CE per rompere vecchi equilibri e non aver timore di ricorrere alle procedure di infrazione per costringere partiti, sindacati ed imprese a mettere giù le mani dai Fondi strutturali. Ma non basta. Si tratta di far crescere e promuovere la progettazione dei servizi dal basso.
Sorvegliare ogni singolo atto dell’amministrazione regionale e nazionale in tema di fondi comunitari e denunziare quella illegalità che da sempre li caratterizza, sapendo che oggi è più difficile di ieri poiché gli spazi di democrazia sono stati definitivamente chiusi.