Il governo ha paura dell’autunno e chiama in soccorso Cgil, Cisl e Uil. Ma le ricette sono sempre le stesse
L’inflazione è duratura e non un fatto congiunturale. Nella conferenza stampa seguita all’incontro con Cgil, Cisl e Uil Draghi ha annunciato un intervento corposo prima della fine del mese.
Il governo è preoccupato che il paese scoppi e che in autunno la protesta riscaldi le piazze. E deve anche tenere a bada il crescente nervosismo delle forze parlamentari che finora era riuscito a neutralizzare. Ha fatto i conti e ha capito che deve sganciare qualcosa per consentire a Landini, Bombardieri e Sbarra di svolgere al meglio la funzione di controllo dei lavoratori che gli è stata affidata. La cifra circolata in questi giorni era di circa 16 miliardi, ora ridimensionati a 13, che sarebbero a disposizione della manovra e dei quali però Confindustria aveva già opzionato almeno 5,3 miliardi, cioè esattamente un terzo dell’intero ammontare.
È chiaro che di fronte al drammatico peggioramento delle condizioni economiche qualcosa dovranno pur fare e che qualche soldo in più nelle buste paga dovranno farlo arrivare. Ma la logica che seguono è che “il lavoro costa troppo in Italia” e che pertanto bisogna ridurre la contribuzione anche per il datore di lavoro. E, contemporaneamente, che le risorse aggiuntive messe a disposizione dal governo vadano recuperate sul fronte dei servizi pubblici, quelli che con il Ddl Concorrenza ci si appresta a privatizzare ulteriormente.
Ciò che interessa a Draghi è recuperare sul netto dei salari e delle pensioni, perché la perdita di potere d’acquisto sta incidendo sui consumi e trascinando il paese in recessione. La parola d’ordine è ridurre il cuneo fiscale e detassare gli aumenti contrattuali, cioè fare in modo che gli adeguamenti salariali siano finanziati con la fiscalità generale. Il patto sociale, evocato al tavolo con i ministri, dovrà servire proprio a suggellare una sostanziale moderazione sindacale nei rinnovi contrattuali, favorita dal fatto che il governo metterà, riducendo i servizi pubblici, la parte che dovrebbero mettere le imprese.
E poi c’è la fantomatica proposta del ministro Orlando in materia di salario minimo. In realtà Orlando ha semplicemente ripetuto quello che Cgil, Cisl e Uil sostengono da anni e cioè che “bisogna far derivare il salario minimo dai contratti”, il che in sostanza significa lasciare pressoché inalterate le cose, con buona pace dei 4,5 milioni di lavoratori poveri denunciati ieri dal Rapporto annuale dell’INPS.
Fumo negli occhi e briciole: ecco quello che si apprestano a varare. Con un governo che corre spedito verso il baratro e non accenna a ripensare la sua folle strategia di guerra. Cacciare questo governo è la cosa migliore che possiamo fare per cominciare ad invertire la rotta.
Unione Sindacale di Base