Il 17 Maggio di trent'anni fa l'80% degli italiani disse no al referendum per l'abrogazione della Legge 194 che permetteva l'interruzione della gravidanza. Una vittoria di tutte le donne!
Il risultato referendario del 1981, che confermava la legge che era stata approvata tre anni prima, rappresentò il coronamento di una coraggiosa e lunga battaglia cominciata dal Movimento di Liberazione delle Donne che ben presto coinvolse milioni di donne che nei quartieri popolari, nelle università, nelle fabbriche, negli uffici ed in tutti i posti di lavoro fecero proprie le parole d’ordine che parlavano di contraccezione, di maternità responsabile, di consultori e di leggi a protezione della donna, di diritto a gestire il proprio corpo, di rifiuto di sottomettersi alla volontà del partner, di rifiuto dell’aborto clandestino.
Fino al 1978, anno di approvazione della 194, la legislazione italiana puniva con l’arresto fino a cinque anni le donne che abortivano. All’epoca erano ancora in vigore le norme che consideravano il delitto d’onore non un reato contro la persona ma un gesto riparatore di un’offesa all’onore del marito, del padre o del fratello e come tale meritevole di particolari attenuanti. Bisognerà aspettare il 1981 perché venga abolito.
Fino al 1978 la donna che non poteva condurre a termine la gravidanza doveva ricorrere all’aiuto di medici - che poche potevano permettersi - o alle mammane molto spesso con conseguenze tragiche per la loro salute, lacerazioni, emorragie, setticemie, che quando non portavano alla morte potevano anche inibire per sempre la maternità.
Gli aborti clandestini superavano abbondantemente il milione l’anno, come denunciava già nel 1961 il settimanale ‘Noi Donne’, erano il 50% dei concepimenti. In quegli anni, nonostante il nostro paese avesse già conosciuto il passaggio da un’economia contadina ad una industriale, le strutture sociali rimanevano ancorate ad una visione patriarcale, con le donne ai margini della società: pochi o nulli i servizi sociali, gabbie salariali che di fatto vedevano, come ancora oggi, svantaggiate le donne, quasi nulli i diritti soggettivi.
La Chiesa sferrava in quegli anni campagne violente contro il divorzio ma soprattutto contro l’aborto, tentando di sottrarre alle donne il controllo sul proprio corpo e sulla propria vita, propagandava scenari apocalittici sulla dissoluzione della famiglia, sulla scomparsa della morale.
Nessuno di questi scenari si è realizzato, anzi a distanza di trent’anni , gli aborti sono calati di oltre il 50 % e attualmente l’Italia registra, dopo la Germania, il numero di aborti più basso al mondo, 8,3 % interruzioni ogni mille donne. Se c’è un elemento negativo questo riguarda il ricorso all’aborto clandestino delle immigrate, conseguenza sia della mancanza di informazioni ma soprattutto della condizione di clandestinità cui sono costrette le migliaia di donne/lavoratrici immigrate. Per loro, a causa della legislazione securitaria vigente nel nostro paese, rivolgersi all’ospedale significa esporsi ad un procedimento d’espulsione.
E’ stato merito di una straordinaria stagione di lotte, con le donne grandi protagoniste, se tante conquiste sono diventate patrimonio comune della collettività.
Ma anche questa, come tante altre conquiste che in questi ultimi anni sono state messe in discussione, rischia di essere vanificata.
Anche il diritto all’aborto conosce una nuova stagione di attacchi forsennati da parte di forze politiche, che non sono solo di destra, e della Chiesa - che continua a condannare la contraccezione, lancia anatemi contro l’educazione sessuale nelle scuole e contro la RU486 - ma anche da parte di molte regioni che approvano leggi restrittive tese a svuotare di contenuti la 194 e a chiudere i consultori, dove trovano posto gli attivisti del Movimento della Vita, per non parlare del gran numero di operatori della sanità che si dichiarano obiettori.
Trent’anni dopo abbiamo ancora bisogno di una forte e consapevole mobilitazione delle donne per impedire il ritorno dei cucchiai d’oro - come venivano chiamati i medici abortisti di allora - e del prezzemolo o del ferro da calza delle mammane e per continuare a rivendicare il diritto all’autodeterminazione delle donne.