Giorgio Cremaschi: la civiltà del riposo
La riduzione e la regolazione dell'orario di lavoro segnano l'avanzamento della civiltà, se gli orari peggiorano la società regredisce. Oggi ridicole ed ipocrite esaltazioni dell'innovazione tentano di contraddire questo principio generale della storia umana; e così la devastazione degli orari e dei tempi di vita delle persone diventa progresso, mentre chi si oppone ad essa viene bollato come difensore del passato.
Il ministro Calenda, esponente grossolano del liberismo di governo, ha attaccato il M5S perché propone una timidissima regolazione del lavoro festivo. Così si favoriscono le vendite on line e si riducono i posti di lavoro, così ci si oppone al progresso, ha detto il ministro. Il Corriere della Sera ha dedicato ben due pagine al tema, sostanzialmente sposando la tesi governativa. Che non è proprio nuovissima. Quando agli inizi del 1800, nell'Inghilterra del primo capitalismo, alcuni filantropi proposero di fermare a 12 ore la giornata di lavoro e di ridurre ( non vietare) il lavoro dei bambini, vi fu chi si oppose nel nome del progresso e del mercato. E le sue parole non erano molto diverse da quelle di Calenda.
Sono più di 200 anni che il capitalismo, appena può, tenta di acquisire il controllo completo sui tempi di vita di chi lavora, per adattarli e soggiogarli ai ritmi di incremento del profitto. Una lotta di classe secolare ha posto dei freni a questa spinta al dominio e lo ha sempre fatto contrapponendo la concezione del tempo biologica e sociale e quella produttivistica. La lotta per le otto ore al giorno, iniziata centocinquant'anni fa, partiva dalla scansione della giornata in tre parti eguali. Otto ore per il lavoro, otto per il riposo, otto per sé stessi, era scritto sulle bandiere sui manifesti del movimento operaio.
Oggi l'aggressione al riposo festivo, che colpisce lavoratrici e lavoratori dei centri commerciali e di tanti altri luoghi di lavoro, sconvolge brutalmente l'equilibrio e la ripartizione del tempo. Quello per la produzione si dilata, quello per il riposo si accorcia, quello per sé viene negato. Non inganni il fatto che formalmente molti di questi lavoratori siano retribuiti per meno di quaranta ore alla settimana. Il part time è un trucco per sfruttare di più le persone, è la punta dell'iceberg di un tempo di lavoro che si dilata sempre di più, ma che non viene pagato. Il tempo necessario per spostamenti, cambiamenti, essere a disposizione nell'orario di lavoro effettivo. Il tempo necessario a coprire turni disagiati dove anche il trasporto casa lavoro é più difficile. Il tempo di improvvisi straordinari sottopagati. Se sommiamo tutte queste ore di lavoro vero, che però l'impresa non riconosce e non paga, scopriamo che per a un contratto settimanale di lavoro part time di trenta ore corrisponde almeno il doppio di ore che il lavoratore dedica all'azienda e toglie a sé. Se poi queste ore sono concentrate nei giorni che dovrebbero essere di festa e riposo, il danno per il tempo sociale e biologico di chi lavora è ancora più forte.
Tutto questo si chiama supersfruttamento, furto di tempo di lavoro e nel nostro paese è potuto dilagare grazie a provvedimenti di governo e complicità sindacali. Bersani prima e Monti poi hanno completamente liberalizzato il lavoro domenicale e festivo nel commercio. Vergognosi accordi di CgilCislUil hanno agevolato il part time e ridotto le retribuzioni per lavoro straordinario e festivo, rendendolo più conveniente per le imprese. Infine il ricatto della disoccupazione di massa e della libertà di licenziamento, il Jobsact hanno fatto il resto. Si sono diffuse forme sempre più estese di lavoro schiavistico.
I difensori dei supermercati spiegano che cosi va il mondo e che tante altre categorie di lavoratori operano già la domenica. La prima affermazione è falsa. Basta andare in qualche paese del Nord Europa, di solito usato come modello quando si deve fare austerità, per scoprire che alle 16 del venerdì tutto chiude e riapre il lunedì. Il mondo che va come vuole Calenda è dunque quello che segue il modello del capitalismo selvaggio.
Quanto a medici, tranvieri, poliziotti che lavorano la domenica, che diavolo c'entra? Qui c'e la malafede di chi considera la stessa cosa servizi essenziali per la persona e guadagni spropositati per i super ricchi. Ci sono servizi di civiltà che devono essere garantiti, anzi dovrebbero essere ampliati. Perché non fare le TAC gratis negli ospedali pubblici anche la domenica? Naturalmente per garantire questo servizio si dovrebbero assumere più infermieri, ridurgli l'orario di lavoro in modo che non siano sempre gli stessi a lavorare nei giorni di festa, aumentare le retribuzioni. Invece i tagli alla spesa pubblica riducono le guardie mediche e i servizi essenziali festivi. Il centro commerciale resta aperto la domenica, ma l'ospedale di fianco è chiuso. Questo è progresso o una nuova barbarie?
Ben venga quindi una legge che cominci a mettere un piccolo freno al furto del tempo di lavoro, obbligando i centri commerciali almeno a qualche chiusura all'anno. Ma essa varrà solo come piccolissimo inizio, varrà come il limite delle 12 ore al giorno di duecento anni fa. Da quel limite si dovrà partire, per restituire al lavoro quel diritto al riposo e al tempo per sé - e per i propri cari - che il capitalismo feroce e senza freni di oggi sta negando. E i difensori del progresso vadano a studiare la costruzione delle Piramidi.
Giorgio Cremaschi