Federico e Roberto, professione cavatori.
La salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro non è uno dei tanti fronti del conflitto, quasi un lusso nella drammatica situazione di disoccupazione e di precarietà, non è un tema che riguardi soltanto alcuni settori e non altri: è piuttosto un riferimento generale per tutte le lotte particolari. È un’istanza imprescindibile che unisce gli operai delle industrie, gli agricoltori, i precari, i lavoratori del pubblico impiego e tutti i cittadini. Per noi in Italia questa battaglia assume un’importanza particolare: nel 2015 sono pervenute all’Inail 1172 denunce di infortunio con esito mortale. Ogni settimana in Italia muoiono oltre ventidue persone e la tendenza attuale è di un ulteriore peggioramento: cresce il numero dei morti e cresce quello degli infortunati, anche gravi. L’Italia vanta un tristissimo primato tra i paesi europei. Ci si interroga sul senso stesso della parola progresso se nel nostro paese nel 2016 è possibile rischiare così tanto per lavorare, per guadagnarsi da vivere; morire di tumore lavorando in fabbrica, morire di sete e di fatica nei campi, morire cadendo dalle impalcature o per le esalazioni tossiche in assenza di minime regole di sicurezza oppure morire schiacciati sotto 2 mila tonnellate di marmo come Federico e Roberto, professione cavatori.