Elezioni politiche del 4 marzo, prepariamoci alla lotta. In campagna elettorale facciamo sentire le ragioni di USB

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Il programma del prossimo governo lo stanno scrivendo a Bruxelles. Comunque vada dovremo fare i conti con il “pilota automatico” dell’Unione Europea. Queste elezioni somigliano ad una sorta di ricreazione, quando saranno finite ed a prescindere dal risultato, metteranno mano di nuovo ai conti pubblici per approvare un’ulteriore manovra finanziaria lacrime e sangue. La Commissione UE aspetta il 4 marzo come la celebrazione di un rito inevitabile in un sistema formalmente democratico come il nostro, ma già prepara il programma per il nuovo governo, indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente del Consiglio.

Le maggiori forze politiche in campo non hanno programmi effettivamente alternativi, né mettono in discussione il controllo ferreo che la Commissione di Bruxelles esercita sulla nostra politica economica. Già dal 2012 è stato inserito in Costituzione l’articolo 81* che impone la parità di bilancio e pregiudica pesantemente la libertà di azione dei governi e del parlamento. Entro il 2019 è prevista poi l’entrata in vigore del fiscal compact, cioè la riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL di almeno 1/20esimo ogni anno: l’Italia sarà pertanto costretta ad una manovra di tagli ai conti pubblici di 40/50 miliardi ogni anno per vent’anni!

Tutte le voci della nostra economia sono purtroppo da tempo sotto il ferreo controllo dei commissari europei ed i margini effettivi di autonomia sono ormai impercettibili: difficile sperare che cambi qualcosa se non si rimettono in discussione questi vincoli e non si rompe la gabbia nella quale siamo intrappolati. Questo vale per i tagli ormai strutturali al sistema sanitario, alla scuola pubblica, ai servizi sociali, ai trasporti, ecc. che hanno comportato un pesante processo di privatizzazione dei servizi essenziali e l’aumento delle disuguaglianze. Vale per l’aumento dell’età pensionabile e lo smantellamento della previdenza. Vale per l’abbassamento delle tutele sul lavoro e la diffusione del precariato, previsti dal Jobs Act. Vale per l’abbandono di qualsiasi programma di edilizia residenziale pubblica e la vendita di quel che resta del patrimonio immobiliare con il decreto Lupi. Vale per i contratti dei lavoratori pubblici, rinnovati con clamoroso ritardo in modo indecente. Vale per la diffusione del lavoro schiavistico nelle campagne e per lo sfruttamento fuori da ogni regola in molti settori come la logistica. E vale finanche per la mancata capacità di intervenire efficacemente a tutela del territorio e per far fronte ai periodici disastri ambientali, dai terremoti alle alluvioni, che stanno colpendo il nostro paese.

Mettere i conti pubblici in ordine è il mantra con il quale hanno governato le destre e le sinistre di questo paese negli ultimi vent’anni, con l’idea che questa sarebbe stata la strada maestra per ridare fiducia ai mercati. Ma tutta questa fiducia nei mercati ha trasformato l’Italia in uno dei paesi con il più alto tasso di disuguaglianza d’Europa, con oltre il 30% della popolazione residente a rischio povertà o esclusione sociale (dati ISTAT dicembre 2017).

Con le disuguaglianze cresce la guerra tra poveri. I tagli allo stato sociale, la frammentazione delle condizioni contrattuali, la sottoccupazione e l’abbandono delle periferie e di molte aree interne del paese hanno riempito il paese di rancore e favorito la diffusione del razzismo e della guerra tra poveri. Si è creato così un clima che nasconde le cause vere dei problemi sociali e tutte le diverse formazioni politiche hanno provato a sfruttare la paura e l’insicurezza sociale. La rabbia che cresce tra chi è in difficoltà viene canalizzata verso i migranti, ottenendo il doppio effetto di stabilizzare il sistema e far crescere la destra xenofoba. I valori dell’uguaglianza e della giustizia sociale che sono ancora scritti nella nostra Costituzione, che siamo riusciti a difendere con la vittoria del referendum del 4 dicembre 2016, sono di nuovo fortemente sotto attacco. Non peggiorano soltanto le condizioni di vita ma assistiamo ad un pesante scivolamento e degrado della vita sociale. Gli spazi di democrazia e le libertà vengono messi in pericolo. Il divario di genere aumenta, a partire dal differenziale salariale.

Quando aumentano le difficoltà sociali si abbassa la guardia anche di fronte ai valori più sacri, come quello della pace. L’ultimo governo ha chiuso la legislatura inviando un contingente militare in Niger: l’Italia va alla guerra ed accresce il suo potenziale offensivo, mentre la politica si gira dall’altra parte.

Impedire il conflitto è il loro problema. Per garantire la prosecuzione di questo processo che ha permesso negli ultimi anni di destinare più di 20 miliardi per il salvataggio delle banche, altri 25 miliardi per l’industria 4.0 e la cessione di pezzi strategici dell’economia nazionale agli interessi privati, i governi che si sono succeduti hanno fortemente limitato le libertà sindacali consegnando il monopolio della rappresentanza a Cgil, Cisl e Uil. Impedire ai lavoratori di organizzarsi in forma indipendente è un obiettivo che viene perseguito sistematicamente, così come l’ulteriore compressione del diritto di sciopero. I recenti decreti del ministro Minniti hanno inasprito ulteriormente il sistema penale per chi si organizza e lotta per i propri diritti, rileggendo in chiave securitaria l’aumento del disagio sociale dovuto alle politiche neoliberiste.

Le forze politiche che si contendono la possibilità di governare vivono con preoccupazione l’allargamento del conflitto sociale e la mobilitazione dei lavoratori e dei movimenti sociali. Mentre sembrano confliggere nei talk show, in realtà condividono lo stesso spirito autoritario.

Convincerci che non cambierà mai niente è la loro arma più potente. L’uniformazione dei programmi ed anche la cooptazione nel sistema di quelle forze che dovevano rappresentare il cambiamento, costituiscono una formidabile arma per convincerci che nulla mai potrà cambiare davvero. Crescono l’astensionismo ed il disincanto ma anche la stabilità del sistema. La coalizione di governo tra forze apparentemente concorrenti viene presentata come l’esito più probabile della competizione elettorale, ridotta quindi ad una commedia per abbindolare l’elettorato.

In questo contesto l’USB mette al primo posto la lotta contro la rassegnazione. L’organizzazione collettiva e indipendente dei lavoratori e di tutte le componenti del nostro blocco sociale è l’arma più potente che abbiamo per condizionare la situazione. Nella campagna elettorale è importantissimo che i temi sociali e del lavoro abbiano un grande protagonismo, e che chi si candida subisca la nostra pressione ad esprimersi in difesa delle libertà sindacali e democratiche, per il rilancio dell’economia pubblica, contro le privatizzazioni e la precarietà del lavoro, contro ogni discriminazione di genere. Non possiamo lasciarli dormire tranquilli ma devono sentirsi osservati e sotto controllo: chi si candida è al nostro servizio, al servizio di noi lavoratori e cittadini, ed è a noi che deve rispondere.

L’USB sarà presente in ogni città per alimentare la discussione della campagna elettorale e riportarla sulle questioni vere, per individuare cause e responsabilità della grave crisi che viviamo. Per contrastare le forze più reazionarie e difendere i valori della libertà e della giustizia sociale. Per gridare che dentro l’UE non c’è spazio per un’alternativa vera di democrazia, di uguaglianza e di pace.


*per la cancellazione della nuova formulazione dell'articolo 81 della Costituzione ed il ripristino di quella del 1947 partirà dal 1°febbraio una raccolta di firme per una iniziativa di legge popolare alla quale USB ha deciso di contribuire fattivamente.