E' arrivato l'autunno, che non sia solo una stagione!

 

Questa settimana si riapre formalmente la negoziazione nel pubblico impiego. C’è voluta una sentenza della Corte Costituzionale per togliere le ragnatele dalle scrivanie dell’ARAN, l’Agenzia negoziale per il pubblico impiego, e avviare la stagione contrattuale dopo oltre sei anni di totale blocco dei contratti e delle retribuzioni. Probabilmente la Legge di Stabilità che verrà varata giovedì 15, proporrà aumenti intorno alla iperbolica cifra di 10/15 euro lordi e medi. Un’apertura obbligata quindi nel pubblico che si incrocia invece con il blocco della contrattazione nel settore privato in presenza di una richiesta di pesante riforma del sistema contrattuale chiesto a gran voce da Confindustria. Si sa che i padroni quando fanno la lotta di classe la fanno davvero, e anche stavolta va così, con i padroni a sostenere che negli anni scorsi le retribuzioni degli operai sono cresciute più del costo della vita e con la richiesta a mezza bocca di recuperare addirittura quanto elargito in più.


Se nel privato il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è da sempre un passaggio importante nella vita delle aziende e delle organizzazioni sindacali, nel pubblico invece c’è da avere paura.


Il governo di centro sinistra (sic!) di Renzi apre la stagione negoziale attivando la riforma Brunetta, cioè la riforma di quel centro destra che ha fatto di tutto per azzerare le tutele e i diritti negli uffici pubblici e che un grande contributo ha dato allo smantellamento del welfare per i cittadini. Non solo la attiva, ma ci si nasconde dietro, subordinando l’apertura vera dei tavoli contrattuali alla ridefinizione dei comparti di contrattazione collettiva nella pubblica amministrazione portandoli dalla stratosferica cifra di undici per oltre tre milioni di addetti, a quattro. Solo qualche mese fa uno studio congiunto dell’Istat e del Cnel enumerava la larga platea dei contratti privati, alcune migliaia, ma su questi nulla da dire.


Ovviamente la speranza è che una trattativa sindacale su questa spinosa imposizione, derivante dall’ imperscrutabile disegno di Brunetta, blocchi per mesi e mesi l’avvio concreto delle trattative per il rinnovo del contratto. Far convergere nello stesso calderone milioni di lavoratori e lavoratrici che da sempre svolgono funzioni difficilmente assimilabili, l’infermiere con l’esperto di pensioni, l’ispettore del lavoro con la maestra del nido, il ricercatore con il custode del museo è impresa non facile anche a causa di una corposa distanza retributiva. Ma così facendo ci si può permettere di non prevedere stanziamenti per il 2015, di prevedere stanziamenti ridicoli per il 2016 e 2017, di non indicare una vera decorrenza del contratto da cui far partire gli aumenti previsti, seppur ridicoli.


Siamo quindi di fronte ad una situazione paradossale in cui circa 20 milioni di lavoratori italiani, stremati da una crisi che ha prodotto un ulteriore enorme divario nella distribuzione della ricchezza, si ritrovano alle prese con l’ingordigia dei padroni e la volontà determinata del governo di azzerare i diritti dei cittadini attraverso un ulteriore colpo a chi per questi servizi lavora e si impegna nonostante venga costantemente dipinto come privilegiato.


Il 16 ottobre sarà una giornata decisiva per i lavoratori pubblici: ci sarà la nuova legge di stabilità, compilata secondo i diktat dell’Unione Europea, e sapremo con esattezza quanto salario in più (poco) e quanti diritti in meno (molti) ci saranno.


Quanti tagli per la spending review ricadranno sui servizi ai cittadini e sul funzionamento degli uffici, degli ospedali, delle scuole. Noi ci riuniamo, in molti, proprio sotto le finestre della ministra Madia per farle sentire la nostra rabbia, lì dovremo fare delle scelte, continuare a subire o organizzare una risposta all’altezza della situazione per modificare i rapporti di forza. Chissà se qualcun altro di quelli che si autodefiniscono sindacato, avrà voglia, con noi, di lottare.