Dopo il caso Bertone le contraddizioni della FIOM sono ormai ad un punto critico: a questo punto che senso ha chiamare allo sciopero del 6 maggio?
Il voto dei lavoratori della Officine Automobilistiche Grugnasco, alla vigilia dello sciopero indetto dalla Cgil per il 6 maggio, pone un problema politico di sostanza in una fabbrica in cui la maggioranza dei lavoratori è iscritto alla Fiom.
Non ci sorprende che l’88% dei lavoratori della Bertone abbia votato si, visto che tutti i sindacati presenti in quella fabbrica hanno dato la stessa indicazione di voto, semmai quello che può sorprendere è che l’unanimismo del voto chiesto ai lavoratori è stato rotto dai tanti no che comunque ci sono stati.
Un voto il cui esito sindacalmente negativo ed in contrasto con l'opposizione degli operai che in varie forme si è prodotta a Mirafiori ed a Pomigliano, non può essere imputato prioritariamente ai lavoratori che dopo anni di cassa integrazione, con una azienda fallita e sottoposta al ricatto della Fiat, si sono trovati anche senza una indicazione alternativa.
Un risultato però di cui non è possibile sottovalutare la portata per gli effetti che potrebbe produrre in altri luoghi di lavoro e perché evidenzia che anche la Fiom, complessivamente, sta assumendo un atteggiamento fortemente contraddittorio e che, in definitiva, per molti versi potrebbe essere considerato simile a quello di Fim e Uilm da una parte e della propria confederazione, la Cgil, dall'altra.
In tre situazioni Fiat sostanzialmente simili il referendum ha avuto un esito diverso. In tutte e tre le fabbriche ha vinto il si, ma le percentuali non sono state le stesse.
Pomigliano d’Arco è stato il primo dei siti su cui è caduto il ricatto della Fiat: se l’accordo non fosse passato la fabbrica sarebbe stata chiusa in quanto non vi sarebbero stati nuovi investimenti e nuovi modelli da produrre.
Alle carrozzerie di Mirafiori la Fiat fece un analogo ricatto, ossia la promessa di investimenti e di nuovi modelli se l’accordo fosse passato. In caso contrario avrebbe proceduto allo “spegnimento” progressivo dello stabilimento mano a mano che i modelli attualmente in produzione fossero andati fuori produzione.
Analogo ricatto è stato posto ai lavoratori della ex Bertone.
Se a Pomigliano il NO ha registrato percentuali altissime ed a Mirafiori il SI ha vinto di poco, alla Bertone l’accordo è passato con un ampio margine.
E' quindi evidente che le posizioni Fiom, espresse in modo diverso nelle tre situazioni, hanno fortemente contribuito a determinare risultati diversi. Un atteggiamento che non è possibile scindere tra quello che dice la dirigenza nazionale e quello che fanno le proprie RSU. In tutti gli stabilimenti la Fiom ha detto di non riconoscere la validità del referendum, in quanto ricattatorio ed imposto da Marchionne, tanto che sia a Pomigliano che a Mirafiori non dette indicazione di voto, anzi, a Pomigliano decise di non partecipare alla commissione elettorale mentre a Mirafiori vi partecipò in qualità di osservatore. Vi è stata quindi una profonda differenza con quanto accaduto alla Bertone, dove se la Fiom nazionale formalmente ha mantenuto una posizione critica, dall’altra i propri Rsu hanno fatto campagna elettorale per il Si.
Non è poi marginale anche il fatto che alla ex Bertone non è presente il sindacato di base e conflittuale, che sia a Pomigliano che a Mirafiori ha svolto invece un importante ruolo di opposizione ed una battaglia limpida ed ufficiale per il No.
A Mirafiori il comitato per il NO non si costituì spontaneamente, come fu riportato da alcuni organi di stampa, ma venne costituito ufficialmente dall’USB e dai COBAS.
A Pomigliano furono USB e Slai Cobas che decisero di accettare apertamente lo scontro ed entrarono anche nella commissione elettorale.
A questo punto è lecito domandarsi quali saranno adesso le conseguenze a livello nazionale per le fabbriche in crisi, quali saranno i comportamenti del padronato, dei sindacati “collaborazionisti” e del governo che vedono nell’esito di questo referendum la conferma della giustezza della loro linea politica.
Questa situazione non può ripetersi. E' aberrante che il padronato possa scegliere con chi trattare e fare accordi, oppure che possa decidere di far votare i lavoratori su quesiti che, in caso di bocciatura dei ricatti padronali, prevedono il licenziamento dei lavoratori o la chiusura delle fabbriche.
Un nuovo protagonismo dei lavoratori ed il rafforzamento del sindacalismo conflittuale sono gli elementi che potranno impedire che queste situazioni si ripetano, così come è necessaria una nuova legge sui diritti dei lavoratori, sulla democrazia e sulla rappresentanza sindacale.
Su questi elementi continueremo a lavorare, nella convinzione che la partita con il padronato e con Marchionne non è chiusa ma che sia ancora tutta da giocare.
Ma resta un altro aspetto veramente contraddittorio alla luce della vicenda Bertone ed è rappresentato dal prossimo sciopero generale del 6 maggio indetto dalla Cgil.
Come si può chiamare allo sciopero generale se si rinuncia preventivamente al conflitto, pur essendo il più grande sindacato italiano e in una realtà lavorativa come la Bertone, dove addirittura si è ampiamente maggioritari. Si ha paura di perdere o di vincere?
Lo sciopero del 6 maggio, che è stato alimentato soprattutto attraverso un utilizzo strumentale della legittima richiesta di conflitto e di opposizione alle politiche padronali e del governo che sale tra i lavoratori, si rivela oggi per quello che è realmente: uno sciopero politico che ha risposto esclusivamente alla necessità dettate dal mantenimento di instabili equilibri interni. Uno sciopero per il quale non si spende una parola contro Marchionne e la Confindustria, che invece è tutto mirato contro il governo e che essendo collocato a pochi giorni dalle elezioni, assume evidentemente una forte valenza “pre-elettorale”.
Uno sciopero “sfogatoio” che preparerà la strada, entro pochissime settimane, alla ripresa ufficiale della collaborazione con Cisl e Uil per la costruzione, insieme a Governo e Confindustria, di un nuovo Patto Sociale, obiettivo che la Cgil della Camusso non ha mai abbandonato.
Che farà a quel punto la Fiom? Se dovessimo rispondere in base a ciò che sta accadendo in questi giorni nell'ambito della vicenda Fiat, verrebbe spontaneo pensare ad un ritorno, magari parziale e lento, verso le politiche ufficiali della Cgil.