DONNE ESPULSE
Il rapporto dell’ISTAT mette inequivocabilmente in luce la drammatica situazione delle donne italiane – vero e proprio ammortizzatore sociale di un welfare in via di estinzione – licenziate, costrette alle dimissioni e quotidianamente poste di fronte alla scelta tra maternità, lavoro di cura e occupazione.
Sono già 800.000 le donne espulse a causa della gravidanza dal mondo del lavoro, un’enormità, alla quale sono destinate ad aggiungersi le lavoratrici del Pubblico Impiego, per le quali amministrazioni zelanti e quasi totalmente declinate al maschile, stanno predisponendo la revoca in massa dei contratti di lavoro part time, che per l’85% riguardano proprio le donne, sulla base di una lettura restrittiva e arbitraria di quella Legge – tra le più inique che esistano - chiamata eufemisticamente “Collegato al Lavoro”.
Lavoratrici costrette a rinunciare ad una parte del salario per prendersi cura di bambini, anziani, disabili e sopperire così alla carenza di servizi sociali di questo Paese, dove ormai un/a cittadino/a su quattro ha come prospettiva la povertà e l’esclusione sociale.
Oltre la metà delle donne italiane è inoccupata (53%); nonostante la maggiore scolarizzazione rispetto agli uomini le donne svolgono sempre lavori meno qualificati e, a parità di lavoro, percepiscono in media il 20% in meno di salario; negli anni hanno svolto sulla loro pelle la funzione di cavie all’interno del grande laboratorio di precarietà e atipicità estesa poi a tutto il mondo del lavoro.
Un vero e proprio accanimento contro le lavoratrici e contro le giovani, alle quali un lavoro e un futuro sono negati in partenza, da parte di un Governo inguardabile che considera le donne solo come strumento sessuale dei potenti.
Ma non basta, quand’anche abbiano la ‘fortuna’ di trovare un lavoro il più delle volte sono costrette a firmare le dimissioni in bianco all’atto dell’ assunzione grazie alla decisione del ministro Sacconi che nei primi mesi del suo incarico ha provveduto a revocare la precedente disposizione del ministro Damiani inibitoria di questa pratica.
La discriminazione subita delle donne lavoratrici emerge chiaramente anche dal rapporto annuale dell’INPS: tra le donne sale di molto la percentuale di chi percepisce una pensione inferiore ai 500 euro mensili, il 61% contro il 50,8% del totale, mentre la percentuale di chi percepisce meno di 1000 euro sale al 91% per le donne contro il 79% del totale.
L’accanimento del Governo Berlusconi verso le donne è continuata poi con la decisione di innalzare l’età pensionabile delle dipendenti pubbliche a 65 anni.
Si era, tra l’altro, tentato di addolcire la pillola promettendo che i risparmi relativi a questa operazione , circa 4 miliardi di euro per il periodo 2010/2020, sarebbero serviti a finanziare interventi dedicati a politiche sociali e familiari.
La realtà dei fatti è ben diversa: con la manovra finanziaria 2012 i fondi per la non autosufficienza sono stati completamente azzerati, i fondi per le politiche della famiglia sono stati tagliati del 90% arrivando a 10 milioni per il 2013, stessa sorte per le politiche giovanili, azzerato il fondo straordinario dei servizi socio educativi per la prima infanzia, il fondo per le politiche sociali è passato dai 929 milioni di lire del 2008 ai 44 milioni per il 2013 mentre il fondo per le pari opportunità azzerato in un primo momento ha ricevuto ben 17 milioni di stanziamento!
Tutti i feroci attacchi al mondo del lavoro sferrati negli anni e che stanno riportando le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici di questo Paese all’800, hanno un surplus di livore nei confronti delle donne nel definitivo tentativo di ricacciarle all’interno di quei ruoli, tanto rassicuranti, di mogli e madri e dai quali invece le donne sono fuggite attraverso anni di lotte e conquiste lavorative e non solo.
La commiserevole risposta della politica dopo anni di colpevole silenzio, a cominciare da un Ministero della Pari Opportunità che ha dimostrato tutta la sua inutilità e la cui Ministra, per decenza, dovrebbe dimettersi, troverà in USB un potente megafono di denuncia e di lotta per quanti – donne e uomini – credono e vogliono costruire una società che garantisca diritti, salario e dignità a tutte e tutti.