Corte Costituzionale, tribunale di Firenze. Ovvero quando le sentenze iniziano a fare giustizia delle leggi filo padronali della Fornero e del governo Renzi
Che il Jobs Act avesse degli elementi di carattere incostituzionale era evidente a tutti coloro che non si erano fatti prendere dalla furia distruttrice del diritto del lavoro al centro dell’azione di vari governi, da quello Monti, il cui ministro del lavoro era la signora Fornero, fino al governo Renzi che ha applicato varie norme anti operaie, culminate con il capolavoro del Jobs act.La Corte Costituzionale ha smantellato un importante tassello del Jobs Act, ossia il meccanismo di calcolo delle indennità che il lavoratore percepirebbe in caso di illegittimo licenziamento (art. 3 comma 1 del d.gl n° 23/2015), contrario ai principi di ragionevolezza e uguaglianza in quanto contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti negli art. 4 e 35 della Costituzione.Il meccanismo renziano, dopo aver cancellato il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di illegittimo licenziamento, prevista in precedenza dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sanciva che a questi lavoratori fosse corrisposta un’indennità economica che variava in base agli anni di effettivo lavoro svolto, da un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità.Il decreto dignità, varato dall’attuale governo, ha aumentato le mensilità da corrispondere al lavoratore ingiustamente licenziato ma è esso stesso incappato nelle maglie delle Corte Costituzionale.È sicuramente una sentenza importante, che toglie alcuni dei ristretti confini decisionali che erano stati imposti ai giudici che, quando riconoscevano l’illegittimo licenziamento, non solo non potevano ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro ma erano costretti a valutare il danno economico nel modo di cui sopra. Questa è la seconda volta che la magistratura interviene sugli effetti della riduzione delle tutele dei lavoratori prodotte dalle norme volute dai governi succedutisi negli ultimi anni.In precedenza anche il tribunale di Firenze si era pronunciato, accogliendo i ricorsi presentati dai lavoratori dell’Unicoop Tirreno, sostenuti dalla struttura aziendale dell’USB, sentenziando che, avendo le norme introdotte dai governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi, eliminato le tutele a favore del lavoratore previste dalla L.300/70, che individuava il lavoratore come soggetto debole e da tutelare nel rapporto di lavoro, non era più vigente la prescrizione nel limite temporale dei 5 anni nel caso di richieste risarcitorie a titolo di arretrati e differenze retributive.In sostanza il tribunale di Firenze, ormai in varie sentenze, ha ritenuto che il limite dei 5 anni, previsto dalle norme emanate dopo la promulgazione dello Statuto dei Lavoratori, non erano più attuali alla luce dello smantellamento delle tutele del lavoratore.Queste sentenze evidenziano quanto i guasti prodotti dalla Fornero e poi da Renzi sia possibile combatterle e ripristinare le condizioni precedenti, di cui l’art. 18 resta l’elemento centrale da riconquistare.E’ evidente che la magistratura non può sostituirsi ai lavoratori nella lotta per i diritti, ma, certamente, queste sentenze aiutano il movimento dei lavoratori ed evidenziano quanto certe leggi rientravano nell’ordine della lotta di classe che i padroni hanno scatenato contro i lavoratori e che chi le ha volute e votate sapeva perfettamente cosa faceva.
Unione Sindacale di Base