ASSEMBLEA NAZIONALE CUB - Riccione 22/24 Maggio 2009 -documenti, foto, media-
In allegato la RELAZIONE INTRODUTTIVA impaginata e la MOZIONE CONCLUSIVA approvata.
GALLERIA FOTOGRAFICA
Gli interventi, in formato AUDIO li trovate cliccando sul link in fondo alla pagina, prima delle foto
24 maggio 2009 - Mozione Conclusiva
O.d.G. dell’Assemblea Nazionale CUB
Riccione 22/24 maggio 2009
L’Assemblea Nazionale della CUB tenutasi a Riccione dal 22 al 24 maggio che ha visto la partecipazione di oltre 400 delegati e di circa 100 tra ospiti e invitati approva il documento preparatorio e la relazione introduttiva.
L’Assemblea ritiene indispensabile favorire ancora la discussione interna affinché tutta la CUB partecipi con convinzione al processo costituente che oggi avviamo.
L’Assemblea ha analizzato con un dibattito approfondito e qualificato le cause e gli effetti della crisi che sta devastando il mondo del lavoro e i rapporti sociali, producendo regressioni politiche e culturali che sfociano nella xenofobia e nel razzismo con un generale impoverimento dei lavoratori e dei settori sociali più deboli, premiando profitti e rendite.
Questa situazione è destinata a produrre inevitabili tensioni e conflitti sociali sempre più radicali che pongono nuovi compiti e nuove responsabilità a chi in questi anni ha rappresentato un’efficace se pur parziale alternativa al sindacato concertativo.
L’esigenza di stabilire un rapporto non episodico con tutte le realtà del conflitto sociale si dimostra giusto e non più rinviabile.
Per il sindacalismo di base si tratta di individuare un percorso che attraverso un confronto serrato giunga ad un passaggio politico-organizzativo aperto ai movimenti sociali e a tutti i protagonisti del conflitto per arrivare a costruire un soggetto sindacale adeguato ed utile ai lavoratori in questa nuova fase, strutturato nei posti di lavoro e nel territorio capace di incidere e di dare risposte concrete.
L’assemblea valutando molto positivamente l’esperienza del PATTO DI BASE e i contenuti della sua piattaforma, impegnandosi a sostenere con forza e convinzione le mobilitazioni da esso promosse contro il razzismo e il G8 si impegna a procedere ad una fase costituente aperta a chi ancora non abbia maturato completamente questa esigenza.
In questo contesto l’assemblea CUB individua un comitato costituente composto da:
Componenti il coordinamento nazionale CUB
1. ANTONINI GIANPIETRO
2. BETTI MASSIMO
3. CASALI LUIGI
4. CARDINO ALDO
5. DE VINCENZO ENZO
6. GALLI MARCO
7. FASCETTI ANGELO
8. FASCETTI UMBERTO
9. GREGGI GIULIANO
10. LEONARDI PIERPAOLO
11. MARINELLI LUIGI
12. PALMIERI PAOLA
13. PAPI EMIDIA
14. PEDRINI ANGELO
15. PELLEGRINI GIUSEPPE
16. RANIERO GERMANO
17. ROSSI AMEDEO
18. SARTORIO SANDRO
19. CAMPAGNOLO FIORENZO CUB VARESE
20. TAMPANELLA GIUSEPPE DIRETTIVO NAZIONALE FLAICA
21. FRABBONI NICOLETTA FLMU BOLOGNA
22. SESTO ANGELO FLMU TORINO
23. BATTISTA BARBARA CUB SCUOLA
24. BONFINI FRANCESCO CUB SCUOLA
25. DOBRILLA RICCARDO SALLCA ROMA
26. SPERA ADRIANA USI RDB
27. BOETTO GIANNI ADL
28. DIVETTA PAOLO Blocchi Precari Metropolitani
Consapevoli che questo processo non sarà semplice ma anche del fatto che l’attacco ai diritti e al mondo del lavoro non ci permette tempi indefiniti, l’assemblea propone alle organizzazioni del PATTO DI BASE ed a quelle sociali di promuovere entro il mese di settembre un momento assembleare di verifica del percorso costituente, aperto ed ampio che sia anche l’occasione per decidere il necessario livello di lotte e mobilitazioni per il prossimo autunno.
L’assemblea nazionale della CUB rivolge un forte invito alle organizzazioni che hanno partecipato ai suoi lavori a procedere insieme sulla via del percorso costituente condividendone tempi e modalità di realizzazione.
L’assemblea decide altresì che il comitato costituente incaricato sia aperto alla partecipazione di altre strutture sia interne che esterne alla CUB che condividano questo percorso unitario.
Approvato all’unanimità con un astenuto
22 maggio 2009 - Relazione Introduttiva
Questa che avviamo oggi non è una ritualità, non è la risposta ad una esigenza di calendario o di statuto che dice che ogni tot anni le organizzazioni a base democratica si riuniscono, per verificare il proprio operato, per discutere sul da farsi, per rinnovare i propri organismi, anche perché, se così fosse, saremmo in drammatico ritardo di oltre due anni.
Questa è un’Assemblea politica di confronto sul che fare di fronte alle trasformazioni strutturali del mondo del lavoro e non solo. E proprio perché ha queste caratteristiche diciamo subito che non la consideriamo un’assemblea nazionale della sola CUB, ma un luogo di discussione di tutti coloro che hanno accettato di parteciparvi, anche fuori dalla CUB, e che ringraziamo fin d’ora per questa loro disponibilità e condivisione del metodo. Siamo così convinti che questa sia la strada giusta che chiediamo agli ospiti di non sentirsi tali, di non immaginare la propria partecipazione nel modo classico di chi arriva, ascolta la relazione, porta un saluto ed un augurio in apertura dei lavori e poi se ne torna ai propri affari. Vi chiediamo di restare con noi per tutta la durata dell’Assemblea nazionale, di condividere con noi il vostro punto di vista e le vostre proposte, in poche parole di aiutarci nella difficile impresa di avviare, da questa assemblea, una fase costituente di un soggetto nuovo, più ampio e radicato nei luoghi di lavoro e nella società, utile ai lavoratori nella quotidiana battaglia per affermare i propri diritti e affrontare collettivamente i propri bisogni.
Questo primo scorcio di ventunesimo secolo ci consegna un mondo profondamente trasformato rispetto a quello con cui ci siamo confrontati nel secolo scorso. Allora costruimmo le nostre esperienze di lotta e di antagonismo sulla scorta di categorie strutturate: il fordismo, la centralità operaia e di fabbrica, l’operaio massa, la questione meridionale, la disoccupazione. Fino a che i processi di globalizzazione, di competizione interimperialistica - come abbiamo imparato a definirli cogliendone gli aspetti meno evocativi e più legati alle categorie di pensiero che ci hanno formato - hanno sconvolto quelli che sembravano dovessero essere i paradigmi immodificabili della produzione almeno nei paesi a capitalismo avanzato.
La grande produzione trasloca e viene delocalizzata laddove il costo del lavoro è infinitamente più basso che nei paesi sviluppati, dove i sindacalisti che provano a mettere in discussione le condizioni di lavoro vengono perseguitati a dozzine senza che nessuno si scandalizzi. E mentre la grande impresa viene sempre più marginalizzata e il paese diventa sempre più fatto di piccole e piccolissime imprese, l’Italia si scopre a vocazione più turistico/commerciale che industriale, cresce il settore dei servizi, la pubblica amministrazione viene sempre più volta al soddisfacimento delle esigenze di impresa piuttosto che a garantire assistenza e diritti ai cittadini. Il welfare diventa un affare da far gestire sempre meno al pubblico e sempre più ai privati Il contratto di lavoro a tempo indeterminato, il posto fisso, non è più il contratto prevalente ma viene sempre più sostituito dai contratti precari che oltre a rendere profondamente ricattabile la forza lavoro ne estendono i suoi effetti nefasti a tutta la sfera della persona. Il diritto alla casa diventa un non problema perché, si dice, ormai oltre il 90% degli italiani è proprietario di casa, anche se così non è e sono centinaia di migliaia coloro che, soprattutto nelle città metropolitane, vivono in affitto e sono sempre più spesso sottoposti a sfratto perché impossibilitati a pagare alla rendita e alla speculazione gli affitti da rapina che pretendono. Sempre più proprietari, quelli costretti a comprare dalla assoluta mancanza di disponibilità di alloggi in affitto a prezzi equi, sono con l'acqua alla gola a causa dei mutui capestro che hanno sottoscritto.
Cambiano quindi in parte i problemi ma non la natura dei problemi, non cambia la dimensione dello sfruttamento. Anche se in molti suoi aspetti cambia la forma, non cambia la divisione tra sfruttati e sfruttatori, parole antiche, forse in disuso, ma che continuano a rappresentare meglio di qualunque altra la cruda realtà dei fatti. Certo noi celebriamo la nostra assemblea nazionale in uno dei paesi più sviluppati dell'occidente capitalistico, non in uno di quei paesi in cui la maggioranza della popolazione è costretta a vivere, se così si può dire, con 1 dollaro al giorno o a fuggire cercando di sottrarsi al proprio destino mettendosi nelle mani di criminali che ne sfruttano il bisogno e li depredano delle loro misere cose per traghettarli verso la nostre coste dove, sempre più spesso, trovano altri criminali in doppio petto pronti a respingerli al loro paese. Noi viviamo nell'occidente opulento, ma in una cittadella assediata da chi non ha nulla e chiede qualcosa.
Questa nostra condizione sta producendo un fenomeno di involuzione culturale preoccupante, che il nostro paese non aveva mai rivelato così compiutamente come oggi, la paura di dover dividere con altri la nostra ricchezza, che l'arrivo di altri meno fortunati di noi, nati cioè in luoghi dove sopravvivere è già difficile, metta in discussione la nostra condizione di vita materiale che è già complicata e difficile, ma si svolge pur sempre dentro uno dei paesi più avanzati del mondo. Se la competizione globale ha bisogno di esercitare forti riduzioni dei diritti e delle condizioni di vita e di lavoro nei paesi occidentali, negli altri paesi del mondo sta producendo, attraverso la sistematica rapina delle risorse, il sostegno a regimi spesso brutali e sostenuti dalle grandi multinazionali per poter perpetrare in assoluta tranquillità i propri crimini, veri e propri stermini di massa di cui a noi giungono soltanto gli echi attraverso un sistema mediatico corrotto, volgare e piegato all'esigenza di rappresentare come mali del mondo le idiozie e nascondere le vere, terribili tragedie in atto.
La scommessa, che purtroppo sembra essere ampiamente riuscita, è quella di una regressione culturale grave, segnata da xenofobia e razzismo, intrisa di egoismo e di difesa di quel che si ha, imputando ad altri come noi, più sfortunati di noi, la colpa della nostra riduzione di potere
d'acquisto, del fatto che non ci sono case per la gente meno abbiente, che il lavoro scarseggia e la precarietà diventa la normale condizione di lavoro per milioni di giovani e meno giovani e il paradosso è che a scagliare gli uni contro gli altri sono proprio coloro che sostengono con ogni mezzo proprio quella globalizzazione che sta producendo questo impressionante impoverimento generale dei lavoratori e delle classi popolari e l'arricchimento smisurato dei padroni e dei capitalisti.
In questo quadro già piuttosto complesso in cui siamo immersi da alcuni decenni, si è inserito l’emergere della crisi più profonda e grave che noi tutti abbiamo mai affrontato e conosciuto. Una crisi economica che è in corso ormai da anni, che hanno cercato di nascondere attraverso la finanziarizzazione credendo fosse possibile fare i soldi con i soldi, snobbando la produzione materiale, reinvestendo gli utili non nelle aziende ma nelle borse di tutto il mondo, lasciando mano libera a speculatori di ogni risma che si arricchivano come mai prima sulla pelle della gente che si fidava di loro, anch’essa convinta che li avrebbero fatti partecipare al banchetto.
Cosa è realmente accaduto finora lo sappiamo tutti, dai crack del secolo delle maggiori banche di investimento alla ricaduta materiale di questi crack sulle famiglie, dalla stupefacente tranquillità con cui gli stati hanno deciso di sostenere banche e bancarottieri, versando loro fiumi di denaro per ripianare i deficit e aumentando così il debito pubblico che saremo chiamati noi a ripagare, fino alla spudorata pretesa di farci credere che non sta succedendo niente.
Questa è una crisi strutturale, di sistema, che probabilmente cambierà il mondo e il modo di produzione capitalistico, che ha già cominciato a far pagare un conto molto salato ai lavoratori e alle loro famiglie attraverso licenziamenti, cassa integrazione, omicidi sul lavoro, mancato rinnovo dei contratti ai precari, stretta sui salari, riduzione del welfare, sfratti, repressione delle lotte e aggressione ai diritti ottenuti con lotte e sacrifici grandissimi dal movimento dei lavoratori negli anni passati.
Per fortuna però comincia ad uscire fuori la rabbia di chi è perfettamente cosciente di cosa gli stia capitando. Molti hanno utilizzato quanto avvenuto sabato scorso a Torino al corteo Fiat per cercare di esorcizzare la rabbia operaia, molti hanno preso a pretesto quell’episodio per correre a lanciare di nuovo i propri strali contro gli estremisti, i violenti, coloro che addirittura non accettano di farsi guidare dalla Fiom, il sindacato più di sinistra del Paese che però nelle fabbriche si comporta esattamente come gli altri sottoscrivendo accordi che producono l’emarginazione di chi osa opporsi alle ristrutturazioni. Ministri e padroni hanno provato a cogliere l’occasione per richiamare la Cgil alla ragionevolezza, qualcuno già prefigura scenari brigatisti alimentati “da chi coglie l’occasione della crisi per soffiare sul fuoco della protesta senza sbocchi”. Noi, per scelta, abbiamo sempre guardato con grande diffidenza l’utilizzo delle manifestazioni altrui come luogo in cui portare le proprie parole d’ordine e far sentire la propria voce. I compagni che hanno scelto di essere a Torino sabato scorso hanno forse compiuto un errore di valutazione se hanno pensato di poter esercitare lì la propria diversità, ma hanno senz’altro avuto il merito di aver riaperto la discussione sulla condizione operaia, rompendo con la melassa sparsa a piene mani con l’intento di impedire la rivolta verso chi vuole farci pagare la crisi.
Il governo Berlusconi in Italia, ma anche Sarkozy in Francia, la Merkel in Germania sono a fianco dei padroni nel garantire loro un’uscita indolore dalla crisi, anzi sono, oggi come mai, i veri cani da guardia di un padronato arrogante nel chiedere dallo Stato ogni tipo di sostegno alla propria pretesa di non diminuire di un centesimo i propri guadagni.
Sono quei padroni che di fronte alla richiesta di una diversa distribuzione della ricchezza, in un paese che le recenti stime OCSE dicono avere i salari più bassi del 17 per cento rispetto alla media europea, rispondono con migliaia di licenziamenti a fronte di liquidazioni milionarie e stock option ai propri fedeli manager che, come accaduto per le Ferrovie o per Alitalia, vengono premiati per aver distrutto le aziende che guidavano per consentire evidenti operazioni finanziarie e speculative.
Sono quei governi che attaccano con forza la scuola pubblica, i servizi sociali, che comprimono il diritto a lottare e ad opporsi, tirando fuori ogni giorno una legge anti sciopero, un protocollo per impedirci di manifestare, che attaccano le donne e i diritti che si sono conquistate facendo fare passi avanti giganteschi a tutto il movimento dei lavoratori. Sono quei ministri che, a libro paga della Confindustria, hanno aperto la stagione della caccia al dipendente pubblico con l’obbiettivo di ridurre la qualità del lavoro raggiunto ma soprattutto per ridimensionare drasticamente l’impegno dello stato nella cosa pubblica e renderlo così davvero appetitoso per i padroni e gli speculatori senza scrupoli come insegna la vicenda troppo presto archiviata della clinica degli orrori di Milano.
Sono quei governi che, mentre la crisi infuria, spargono però ottimismo a piene mani e inoculano veleni xenofobi tra la gente, assurti addirittura a norma di legge con il pacchetto sicurezza, per indurla a occuparsi d’altro e ad immaginare che la colpa della propria condizione materiale sia da attribuire all’immigrato, al rom, al diverso.
La esorcizzano, la crisi, ben coscienti che questa esiste, che è più grave e devastante di qualunque altra se ne abbia memoria, perché sanno che esistono mille motivi obbiettivi per la rivolta di classe ma sanno anche che non esiste ancora la soggettività del movimento in grado di guidarla.
Una strategia ben congegnata che non trova oggi, nel nostro paese, alcuna risposta adeguata sia sul piano sociale che su quello politico se non quelle che riusciamo, con fatica, a mettere in campo noi tutti. Le elezioni del 2008 ci hanno consegnato un fortissimo rafforzamento della destra, soprattutto di quella identitaria e parafascista della Lega; un ridimensionamento, destinato a crescere, del centro sinistra moderato e il suicidio della sinistra radicale che ha acriticamente appoggiato il governo Prodi nella sua opera sistematica di demolizione di qualsiasi riferimento di classe per il blocco sociale che pure lo aveva ancora una volta votato.
Le organizzazioni sindacali storiche sono in gravissima crisi e di fronte ad un bivio. Il governo berlusconi attraverso la riforma dei contratti, che attacca violentemente il contratto collettivo, il salario, la rappresentanza e i diritti, ha deciso, questa volta sembra senza tentennamenti, di andare all’attacco definitivo della “forma sindacato” così come si era affermata nel ‘900.
E’ evidente la volontà di eliminare ogni forma di intermediazione sociale, di tutela dei diritti dei lavoratori, ogni strumento utile a far avanzare le condizioni di vita nel mondo del lavoro e per i settori popolari. E così Sacconi può affermare tranquillamente che bisogna passare dalla concertazione alla “complicità” e arruola immediatamente la Cisl e la Uil che, ben felici del nuovo ruolo che gli viene assegnato, si prestano ancora una volta a sottoscrivere accordi e protocolli che spaccano il fronte concertativo tra chi, trasformandosi in buona sostanza in un ente parastatale, si accontenta di giocare il ruolo di gestore degli ammortizzatori sociali attraverso una forte implementazione degli enti bilaterali, e la prospettiva di fare con questi un sacco di soldi, e chi, come la Cgil, in questa fase è impegnata, come già avvenne nel 2004, a sostenere una funzione tutta politica di supplenza della inesistente opposizione nei confronti di Berlusconi, ma è già pronta ad una rapida marcia indietro qualora il governo gliene fornisse l’occasione. Anche la sua ferma opposizione all’accordo di riforma del sistema contrattuale già mostra le prime crepe. Nelle categorie i contenuti di quell’accordo stanno passando direttamente nei contratti collettivi con la firma anche della Cgil, che tuona sul piano confederale e si accoda su quello categoriale. L’esempio più eclatante, e di cui siamo stati testimoni diretti, è lo scandaloso protocollo sul Contratto della mobilità, sottoscritto da tutti, compreso la Cgil, che unifica i lavoratori del trasporto pubblico con quelli delle ferrovie, applica il triennio salariale e normativo, offre un ridicolo aumento salariale. Per fortuna la categoria degli autoferrotranvieri ha già messo in campo una risposta adeguata e dura con il massiccio sciopero del 15 maggio, uno sciopero tanto più importante perché attuato dopo la firma dell’accordo e tutti noi sappiamo quanto sia difficile chiamare i lavoratori alla lotta dopo che si è chiuso un contratto.
Peraltro la cgil è anche attraversata al suo interno da poco nobili lotte di potere mascherate da diverse opzioni politiche. Il balletto indecente a cui stiamo assistendo in questi giorni è emblematico. Il leader della funzione pubblica Cgil, Podda che, escluso dalla segreteria confederale Cgil da Epifani, negli scorsi mesi si era schierato a sinistra nella confederazione fino a proclamare uno sciopero assieme tra lavoratori pubblici e meccanici, nei giorni scorsi, nel breve volgere di poche ore, ha chiesto ed ottenuto la tessera del PD e, in una intervista al Riformista, ha lanciato la sua nuova proposta: contratto unico a tutele progressive (il contratto a tempo indeterminato e le tutele connesse arriverebbe dopo anni e anni di lavoro) e ovvia conseguente eliminazione dell’articolo 18 che a quel punto non servirebbe più a nulla. In tutto e per tutto la proposta di Ichino, Boeri ecc. Ovviamente non è stato un colpo di sole, semplicemente si è avviata la corsa alla sostituzione di Epifani alla guida della Cgil e anche il segretario della f.p. si è messo in pista, cercando di grattare anche qualche consenso sul fronte riformista interno.
Non sappiamo quando la frattura tra Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra si ricomporrà formalmente, quello che sappiamo perfettamente è che non c’è mai stata veramente rottura sulla funzione del sindacalismo concertativo, di contenimento delle lotte e delle richieste del mondo del lavoro.
Se questa è, per grandi linee la situazione che stiamo vivendo allora la domanda principale che dobbiamo porci è quella al fondo di questa assemblea nazionale, cioè la convinzione che si sia aperto, e sia destinato inevitabilmente ad ingrandirsi, uno spazio rilevante per posizioni sindacali e sociali antagoniste, radicali e conflittuali e se noi oggi siamo adeguati a riempirlo.
L’apertura del confronto interno alla CUB aveva in se questa domanda di adeguamento della confederazione ai nuovi compiti e alle nuove responsabilità a cui siamo chiamati se vogliamo rappresentare concretamente, e non solo sotto l’aspetto mediatico, un punto di riferimento e di aggregazione alternativa per i lavoratori nella nuova fase.
Siamo convinti, noi della CUB che ci troviamo qui oggi, che serva una forte concezione confederale del sindacato di base. Che non sia più sufficiente, anche se rimane indispensabile, tenere la frontiera aziendale e disinteressarsi di ciò che accade fuori da essa o al più ricordarsene ogni sei mesi attraverso l’indizione di scioperi generali che difficilmente riescono a far avanzare la situazione.
Siamo convinti soprattutto, che l’epoca dell’altezzosa autosufficienza, che non abbiamo mai condiviso, sia definitivamente tramontata, perché inutile, perché profondamente sbagliata e dannosa per i rapporti con i lavoratori e con il resto del sindacalismo di base e conflittuale.
Il dibattito interno alla nostra confederazione non è mai stato facile. Per anni, nel confronto interno, abbiamo utilizzato una formula bizzarra, contenuta nello statuto, per cui chi più pesava meno contava. Una bizzarria che però aveva un fine, quello di consentire a tutte le organizzazioni che mano a mano entravano a costruire la Cub, di avere il tempo di rafforzarsi e definire un proprio profilo, una propria linea di lavoro e di intervento, senza temere di dover sottostare alle posizioni di chi, per peso, presenza territoriale, condizioni materiali avrebbe avuto buon gioco nel costruire le scelte e definire i percorsi per tutti, sulla scorta della propria impostazione e della propria indubbia forza.
Questa modalità di lavoro ha funzionato, con alti e bassi, abbastanza bene nel corso dei 17 anni trascorsi dalla fondazione della confederazione. Noi rivendichiamo pertanto la scelta di aver costruito la Cub con il meccanismo che ho descritto. Oggi però, a 17 anni dalla nascita della CUB questo modello non funziona più.
Quel modello ha funzionato perché non si sono presentate contraddizioni sociali tali da chiederne la modifica e perchè alla base c’era una forte condivisione delle scelte e dei passaggi da fare, e c’era soprattutto la consapevolezza che un bel giorno, divenuti tutti adulti, il confronto si sarebbe tenuto libero, democratico, con la costante verifica dei risultati ottenuti.
Si è quindi giunti, attraverso una discussione non rituale né banalmente incentrata sui “poteri” interni alla confederazione, così come qualcuno ha provato a rappresentarla perché così facendo poteva mantenere un’equidistanza che giunti a questo punto non ha proprio alcun senso, alla forte richiesta della convocazione del massimo organismo della CUB, l’Assemblea nazionale.
Un’Assemblea nazionale che sul piano politico consentisse una discussione ampia, franca, aperta sulle cose da fare e sul come e con chi farle, e sul piano organizzativo tirasse una riga definitiva sulla vecchia impostazione della CUB e la rilanciasse attraverso una responsabile verifica democratica dello stato delle strutture, della crescita ottenuta finora, dei risultati conseguiti, anche sul piano del confronto e della partecipazione istituzionale.
Un’Assemblea nazionale che sancisse quanto già avevamo previsto a Rimini nel 2003, e cioè la trasformazione da confederazione di organizzazioni in confederazione di categorie, capaci di definire la propria presenza tra i lavoratori con proprie strategie di lotta e di rivendicazione e con la struttura confederale dedicata al raccordo forte e alla creazione della condivisione dei progetti generali, tesa a crescere nel territorio per aprire spazi di presenza sociale e politica fra i soggetti senza sindacato.
Il Congresso di Sirmione di alcune delle organizzazioni del privato della CUB ha segnato invece una profonda frattura sia interna alle organizzazioni che li si riunivano sia con il pezzo RdB.
Una visione sprezzante e autosufficiente, figlia di una profonda debolezza e di una evidente mancanza di strategia di sviluppo, tale da arrivare ad impedire ai membri dei propri gruppi dirigenti la presenza a questa assemblea, ha reso quello che poteva e doveva essere un momento di riflessione su quanto costruito fino ad oggi, sui pregi e sui difetti dell’impalcatura politico/organizzativa realizzata finora in quelle organizzazioni, in un momento fortemente identitario in cui si identificava e si additava il nemico interno per evitare la discussione vera sulle questioni vere. Davvero una brutta pagina a cui non credevamo di dover assistere!
Ma un punto centrale su cui si è incentrato il dibattito interno alla Cub è stato quello della relazione con il resto del sindacalismo di base e non solo. Già nel corso del 2008 avevamo posto con forza l’esigenza di stabilire un raccordo non formale ed episodico con quelle realtà del sindacalismo antagonista e di classe più vicine a noi per storia e cultura e che avessero una consistenza e una diffusione nazionale, quindi in particolare con SdL intercategoriale e la Confederazione Cobas. Con molta fatica, ma aiutati in questo dal convegno promosso dalla CUB di Varese, siamo riusciti a far passare dentro la CUB l’idea del “Patto di Consultazione Permanente” e abbiamo contribuito largamente alla riuscita dell’Assemblea nazionale del 17 maggio del 2008 a Milano. Da quel momento si sono avviate due dinamiche, una esterna alla Cub, con la costruzione di relazioni sempre più strette e sinceramente utili con i compagni di SdL e Cobas che ha prodotto lo straordinario sciopero generale del 17 ottobre, l’Assemblea del 7 febbraio a Roma e la trasformazione da Patto di Consultazione in un più robusto e stringente Patto di Base e una interna alla CUB, ma di una parte della CUB, che, ritenendo la prima una relazione pericolosa per il proprio equilibrio interno, ha cercato in ogni modo di far fallire il progetto di consolidamento del Patto. La proclamazione dello sciopero generale del 12 dicembre sta dentro questa dinamica e, per quanto ci riguarda è un capitolo chiuso e definitivamente archiviato.
Tra gli argomenti che più sono stati utilizzati per esorcizzare la nostra richiesta di profonda trasformazione della CUB c’è l’idea di costruzione di un sindacato metropolitano, che si è voluto leggere come contrapposto al sindacato radicato in azienda, e descritto come possibile levatrice di un progetto politico piuttosto che sindacale.
Ora è chiaro a chiunque viva davvero su questo pianeta, ne frequenti le strade e le piazze, che il mondo del lavoro si è trasformato radicalmente, che non esiste più solo il posto di lavoro classico, dove esistono soggetti omogenei con richieste più o meno omogenee di tutele, facilmente – è ovviamente un eufemismo – organizzabili sindacalmente dentro contenitori più o meno larghi, più o meno capaci di rispondere alle esigenze e alle richieste che là si esprimono.
Esiste una diffusione di soggetti diversi che non hanno un luogo di lavoro fisico, o che, come i precari, anche se lo hanno lo hanno per pochi mesi e poi se va bene lo cambiano, che sono i più ricattabili e addirittura fungono inconsapevolmente da agenti del ricatto verso i lavoratori stabili cui vengono additati come l’esempio vivente della fine che faranno se oseranno alzare la testa. Sono quelli senza salario e senza lavoro che chiedono reddito, sono quelli che non hanno una casa di proprietà e ne chiedono una popolare e un sostegno all’affitto perché non possono permettersi di comprarla né di pagare un affitto alla rendita speculativa, sono gli immigrati che assommano in se tutto questo e che sono buoni solo quando fanno da badanti ai nostri vecchi o quando sono braccia nelle fabbriche e nei cantieri e non quando hanno bisogno di casa, di lavoro, di diritti uguali. Sono il prodotto più evidente della globalizzazione e della trasformazione produttiva.
E noi non dovremmo occuparcene!
Noi dovremmo accontentarci solo di sostenerli attraverso l’ufficio vertenze, il patronato, lo sportello immigrati, il sindacato casa, senza dare dignità e strumenti di organizzazione al conflitto che esprimono per il diritto alla casa, al lavoro, al reddito, alla cultura, alla socialità in stretta collaborazione e condivisione con le lotte e le esigenze degli altri lavoratori cui quotidianamente offriamo, pur nel nostro piccolo, proposte di conflitto per aggredire e cambiare la propria condizione materiale.
Anche nel confronto con le realtà sociali che già operano su questi terreni di ricomposizione dei bisogni sul territorio spesso si è adombrata una tendenza all’egemonia del sindacale puro nei confronti di pratiche diverse ma assolutamente efficaci che si realizzano nelle metropoli e nel sociale. Sarebbe ora di finirla anche con queste supposte supremazie e ci si accingesse invece ad un serio e serrato confronto con chi ha probabilmente qualcosa da insegnarci su come si può articolare la relazione sociale di massa nel ventunesimo secolo. In questo senso il confronto con il movimento politico e sociale assume un rilievo importante.
Siamo arrivati quindi a questa Assemblea nazionale della CUB divisi al nostro interno su alcune questioni fondamentali e dirimenti: l’esigenza di una vera ampia confederalità capace di riempire lo spazio politico/sindacale che la crisi, ma non solo, ha aperto; l’instaurazione di una prassi democratica interna che mettesse fine alla bizzarria che ho citato in cui “più pesi e meno conti”; l’apertura di un confronto a tutto campo con le altre organizzazioni del sindacalismo di base, a partire da SdL e Confederazione Cobas, sulla necessità e opportunità di mettere assieme le forze per offrire davvero uno strumento adeguato e utile ai lavoratori nella nuova fase; l’avvio, non episodico ma strutturato, del lavoro sul territorio attraverso la costruzione di esperienze di sindacato metropolitano e una relazione non strumentale ed egemonica con chi già opera sul fronte sociale.
Siamo giunti a questa Assemblea nazionale senza una parte della CUB e di questo siamo profondamente dispiaciuti, anche se non disperiamo di recuperare i rapporti con coloro che, pur in ritardo, sapranno mettere in disparte le beghe personali o gli anacronistici atteggiamenti pilateschi ed affrontare politicamente i nodi politici che sono sul tappeto .
Oggi dobbiamo avviare un percorso nuovo, questo è quello che ci siamo prefissi, ma soprattutto quello che, dal nostro modesto punto di vista, riteniamo serva al movimento dei lavoratori e al movimento di classe.
Non possiamo e non vogliamo operare già qui ed ora scelte definitive, sarebbe sbagliato e chiuderebbe le porte ad altri soggetti, interni ed esterni alla CUB. Però riteniamo si debba uscire oggi da questa Assemblea nazionale con un forte impulso al cambiamento. Una forte spinta all’unificazione del sindacalismo di base, una concreta relazione ed azione diretta con e sul territorio.
Proponiamo perciò l’avvio di una fase costituente, con le caratteristiche che ho prima descritto, cui partecipino tutti quei soggetti che condividono le esigenze che abbiamo rappresentato nel documento per l’Assemblea nazionale e in questa certamente non esaustiva breve relazione. Proponiamo che l’Assemblea individui un percorso, lungo il tempo necessario, di confronto serrato, animato da compagne e compagni provenienti dalle diverse esperienze ed appartenenze. Capace di produrre una proposta di sintesi politico/organizzativa su cui far misurare una nuova più larga assemblea generale del sindacalismo di base, aperta ai movimenti e ai soggetti sociali che la ritengano utile e intendano intessere una relazione con essa, da tenersi non appena giunti ad una positiva conclusione e in cui sia possibile lanciare definitivamente il varo del nuovo soggetto.
Riteniamo indispensabile superare le divisioni che pure esistono, soprattutto a livello di categoria e di territorio, e le diversità che pure ci sono, per arrivare quanto prima possibile alla costruzione di un nuovo soggetto sindacale in cui far confluire, perché siano esaltate, tutte le nostre diversità e le nostre esperienze. Ma sappiamo che molte volte “il meglio è nemico del bene” e che, se la sostanziale unificazione delle varie organizzazioni rappresenterebbe senz’altro il traguardo migliore, sappiamo anche che tali condizioni devono maturare senza forzature, se vogliamo davvero che siano durature e positive.
Inventare un nuovo modo di fare ed essere sindacato, nella nuova e complessa fase, non sarà cosa semplice, così come riteniamo non sarà affatto indolore operare un taglio alla propria storia per iniziarne un’altra. Sarà la discussione collettiva a darci le risposte che cerchiamo da tempo su quale sindacato occorre e su quale sindacato quindi costruire. Ciascuno dei soggetti che decideranno di partecipare alla fase costituente dovrà portare il proprio contributo e la propria ipotesi di lavoro su cui discutere, la base unitaria che proponiamo è, ovviamente quella della totale indipendenza dai padroni, dai governi, dai partiti, ma questa è probabilmente una inutile sottolineatura.
Ci siamo posti ripetutamente il problema di quale modello sindacale fosse il più adeguato per provare a mettere assieme storie ed esperienze diverse. Passiamo la palla a chi dovrà gestire la fase costituente, sapendo però che sarà necessario per ciascuno di noi rinunciare a un po’ della propria sovranità e della propria fisionomia, che dovremo lavorare, senza gelosie, ad analizzare i modelli sin qui utilizzati e i risultati ottenuti per poter far tesoro di ciò che ha funzionato e accantonare ciò che non ha prodotto quello che ci si aspettava.
Dovrà discutere, il Comitato Costituente, se così vogliamo chiamarlo, di come si decide nella nuova organizzazione, di come si finanzia, di come si garantiscono autonomie e necessità collettive, dei tempi e delle modalità dell’unificazione, di come costruire le categorie stando attenti a calibrare bene l’impianto, perché sia in grado di rispondere anche alle esigenze della rappresentanza sempre e continuamente messa in discussione, come affrontare assieme lo scoglio delle RSU. Dovrà però anche discutere di come mantenere e favorire la relazione anche con quanti oggi non si sentano pronti a fare il passaggio unitario, con coloro che non hanno maturato appieno la nostra stessa esigenza. Un compito difficile, che deve fare i conti con la nostra cultura, con quel po’ di gelosia che ciascuno ha nel mettersi in gioco, con le storie nobili che ciascuno di noi rappresenta.
Nel frattempo dovremo essere capaci di mantenere alto il livello della lotta e della mobilitazione, non cedendo di un millimetro sulla nostra capacità di esercitare davvero il conflitto perchè troppo impegnati a discutere dello strumento e magari dimenticandoci dell’oggetto materiale della nostra iniziativa.
Chi resta a casa quando la battaglia comincia e lascia che gli altri combattano per la sua causa deve stare attento: perché chi non partecipa alla battaglia parteciperà alla disfatta. Neppure evita la battaglia chi la battaglia vuole evitare: perché combatterà per la causa del nemico chi per la propria causa non ha combattuto.
(B. Brecht)
.
29 maggio 2009 - Left
La triplice alleanza
Bonanni, Sacconi, Marcegaglia. Al congresso Cisl va in onda la nuova concertazione. Tagli alle pensioni, lavoratori azionisti, addio all’articolo 18. Mentre la Cgil si contorce in attesa di cambiare segretario, tornano i sindacati di base
di Manuele Bonaccorsi
Il mercato del lavoro ha eretto una barriera tra stabili e precari? Basta rendere precari anche i lavoratori stabili. Molti giovani rischiano di avere pensioni da fame? Bene, aumentiamo l’età pensionabile. Il welfare pubblico non riesce a proteggere tutti? Privatizziamolo, lasciando la gestione a sindacati e imprese. I salari italiani sono troppo bassi? Diamo ai lavoratori un po’ d’azioni privilegiate ma senza diritto di voto. E se qualcuno non è d’accordo, peggio per lui. Nel mondo del lavoro la maggioranza non conta. L’importante è mettersi d’accordo. Il programma, tappa per tappa, è già segnato. Lo ha concordato, in un turbine di complimenti e calorosi abbracci, la nuova triplice alleanza: Cisl, governo, Confindustria. Per fare i nomi: Raffaele Bonanni, Maurizio Sacconi, Emma Marcegaglia. Tutti insieme all’ombra delle bandiere tricolore della Cisl, che la scorsa settimana ha svolto il suo congresso nazionale (per la cronaca, il segretario uscente è stato rieletto con un sovietico 99 per cento dei consensi, 231 voti su 233; e i due "dissidenti", chissà se Bonanni li avrà già individuati,hanno votato scheda bianca). Si procede a tappe forzate, con chi ci sta. In Parlamentoil senatore del Pd Pietro Ichino è relatore di un disegno di legge sulla cosiddetta "democrazia economica", la possibilità per i lavoratori di accedere al capitale azionario delle imprese. Il nuovo articolato riunisce due diversi progetti (uno presentato dal Pdl, l’altro dal Pd) con l’obiettivo di far assaporare un po’ di capitalismo anche ai lavoratori, «ma solo nelle imprese che vorranno», ha precisato Emma Marcegaglia presente, per la prima volta, a un congresso sindacale. Poi c’è la partita degli enti bilaterali: secondo il leader della Cisl imprese e sindacati dovrebbero gestire funzioni come «mercato del lavoro, formazione, previdenza, sanità integrativa», sostituendosi allo Stato. Lo stesso concetto espresso nel Libro bianco sul welfare, presentato il 6 maggio, nel quale si prevede di sostituire lo Statuto dei lavoratori con un nuovo "Statuto dei lavori". Ripulito dall’articolo 18, che difende dai licenziamenti senza giusta causa. Delle pensioni, invece, si riparlerà non appena la crisi uscirà dalla fase acuta, per entrare in quella cronica. La presidente di Confindustria ha fatto fretta al governo, Sacconi e Tremonti hanno risposto che «se ne riparlerà a tempo debito», il solito Brunetta ha chiesto "riforme subito". E sarà di parola: già questa estate sarà aumentata l’età pensionabile delle donne.
Le prossime tappe saranno la revisione verso il basso dei coefficienti, cioè dellostrumento che determina l’ammontare delle pensioni, e un nuovo innalzamentodell’età di uscita dal lavoro. E la stretta, contenuta in un disegno di legge governativo, sul diritto di sciopero. Nel programma manca solo l’ultimo tassello: il colpo di grazia al mercato del lavoro. Lo chiamano contratto unico, ma si potrebbe chiamare «precarietà unica». È una proposta di riforma del mercato del lavoro presentata in due versioni: una da parte degli economisti de lavoce.info Tito Boeri e Pietro Garibaldo; la seconda dal senatore del Pd Pietro Ichino. Ambedue convergono verso lo stesso obiettivo: rendere precario il contratto a tempo indeterminato, che rimane pur sempre il modo con cui viene assunto il 47,4 per cento dei lavoratori (fonte ministero del Lavoro, 2008). Lo strumento è un periodo più o meno lungo (36 mesi per Boeri, 20 anni per Ichino) nel quale non si applica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che obbliga le imprese al reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa. La Cisl si dice pronta a discutere; il governo, scottato dalle proteste del 2002, prende tempo; importanti esponenti delle imprese (tra cui, ad esempio, l’ad di Intesa S. Paolo Corrado Passera e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) si dicono d’accordo. Manca solo un attore: la Cgil. Alcuni suoi dirigenti "riformisti" (come Nicoletta Rocchi, Mauro Guzzonato, Fausto Durante) o "radicali" (come Carlo Podda, il leader del settore pubblico) hanno aperto alla proposta di Boeri. Mentre Epifani al congresso Cisl preferisce la linea morbida e propone di riprendere un percorso unitario con Bonanni su fisco e democrazia economica. La Cgil non ha sede in Bulgaria come la Cisl, e l’avvicinamento al congresso, previsto per la prossima primavera, fa registrare posizionamenti tattici complessi, tra riformisti, epifaniani e radicali. Un balletto che rischia di durare almeno un anno, durante il quale la Cgil potrebbe rimanere sospesa tra le spinte verso l’intensificazione del conflitto sociale, già molto duro nei metalmeccanici, e il rientro nei ranghi con Cisl e Uil.
Intanto a Riccione, la settimana scorsa, si è svolta l’assemblea della Cub, il più importante sindacato di base. Dal palco il coordinatore Pierpaolo Leonardi ha lanciato una proposta di unificazione alle altre sigle del sindacalismo "anticoncertativo", per creare un’unica organizzazione "confederale". E molto vicina ai movimenti di lotta per la casa e ai collettivi studenteschi. I sindacati di base nacquero all’inizio degli anni Novanta, in antitesi alla "concertazione" sancita dagli accordi del luglio ’93. La nuova concertazione, stretta fino al punto da confondere parte e controparte, potrebbe dare loro una nuova linfa?
26 maggio 2009 - Contropiano
Da Riccione le novità di cui c’era bisogno
Una spinta al percorso unitario e nuovo modello sindacale
nel dibattito all’assemblea nazionale della CUB
Riccione - Che l’assemblea nazionale della CUB a Riccione avrebbe prodotto grosse novità lo si capiva dall’aria. Il corrispondente abituato a seguire da anni eventi politici, lo capisce subito che quando la coreografia è sobria e il clima non è di quelli da kermesse autocelebrativa, vuol dire che la discussione è seria e la concentrazione è alta. I delegati non vogliono farsi o sentirsi fare i complimenti ma vogliono capire bene i passaggi che li attendono E se entrambe sono palpabili vuol dire che quello che bolle in pentola è una dinamica interessante.
Le centinaia di delegati delle varie realtà categoriali della CUB (e le delegazioni delle altre organizzazioni sindacali di base) che affollano il Palaterme di Riccione materializzano il sindacalismo di base che nel nostro paese da tempo ha dimostrato di essere diventato una realtà con cui fare i conti seriamente. I tentativi di confinare il sindacalismo di base a esperienza giusta ma minoritaria di fronte ai "grandi sindacati" e alla "grande politica", hanno dovuto sbattere violentemente il muso davanti alla tabella di marcia che ha visto in un solo anno la nascita del Patto di Base, lo sciopero generale del 17 ottobre, due assemblee nazionali dei delegati dei sindacati di base, la composizione sociale della riuscita manifestazione nazionale del 28 marzo contro il vertice del G8 sul welfare a Roma. Passaggi questi che hanno rivelato la crescita e la potenzialità di un sindacalismo "altro" consapevole della propria funzione conflittuale, indipendente e anticapitalista. La contestazione al segretario della Fiom Rinaldini alla manifestazione degli operai Fiat (incidente in realtà più casuale che voluto ma in compenso artatamente amplificato) è stata contestualizzata in modo piuttosto pertinente dal coordinatore nazionale della CUB Pierpaolo Leonardi nella sua relazione introduttiva: " I compagni che hanno scelto di essere a Torino hanno forse compiuto un errore di valutazione se hanno potuto pensare di poter esercitare la propria diversità, ma hanno senz’altro avuto il merito di aver riaperto la discussione sulla condizione operaia, rompendo con la melassa sparsa a piene mani con l’intento di impedire la rivolta verso chi vuole farci pagare la crisi". La Fiom, ritenuto il sindacato più di sinistra del paese, "nelle fabbriche si comporta esattamente come gli altri sottoscrivendo accordi che producono l’emarginazione (vedi il reparto-confino della Fiat di Pomigliano, NdR) di chi osa opporsi alla ragionevolezza". Oggi il governo invita i sindacati concertativi (Cisl, Uil, Ugl ma anche Cgil) a passare dalla concertazione alla complicità e la confederazione di Epifani difficilmente resisterà a questo richiamo della foresta con i suoi stessi dirigenti "di sinistra" (vedi il caso Podda) che da un giorno all’altro prendono la tessera del PD.
Ma l’Assemblea Nazionale della CUB di Riccione rivela anche l’aspra discussione interna alla stessa CUB, che ha prodotto una divaricazione tra un modello sindacale aziendalista di derivazione Fim-Cisl, che fa capo alla componente milanese di Piergiorgio Tiboni e un nuovo modello sindacale che è venuto emergendo sulla base della classica – e necessaria – analisi concreta della realtà concreta. "E’ chiaro a chiunque viva davvero su questo pianeta, ne frequenti le strade e le piazze, che il mondo del lavoro si è trasformato radicalmente e che non esiste più solo il posto di lavoro classico" ha affermato Leonardi nell’introduzione "Esiste una diffusione di soggetti che non hanno un luogo di lavoro fisico o che – come i precari – ce l’hanno per pochi mesi l’anno e poi lo cambiano… ci sono quelli senza salario e senza lavoro che chiedono reddito, ci sono quelli che non hanno una casa di proprietà e chiedono una casa popolare e un sostegno all’affitto perché non possono permettersi di comprarla o di pagare un affitto alla rendita speculativa, ci sono gli immigrati che assumono in se tutto questo…Sono il prodotto più evidente della globalizzazione e della trasformazione produttiva". Frequenti in molti interventi i richiami a lottare contro il razzismo e le discriminazioni contro i lavoratori immigrati e le loro famiglie. "Il governo sparge a piene mani ottimismo e inocula veleni xenofobi tra la gente assurti addirittura a norma di legge con il pacchetto sicurezza", è scritto nella relazione introduttiva.
Conseguentemente a questa analisi del lavoro diffuso e parcellizzato e del cumulo di doglianze sociali che prima con la competizione globale (definita apertamente come competizione interimperialista nell’introduzione, NdR) e poi con la crisi poi hanno dilatato a dismisura, la CUB che si è riunita a Riccione, ha avanzato il progetto del "sindacato metropolitano" come strumento di ricomposizione e organizzazione di tutti i settori popolari investiti dalla crisi sia sul piano lavorativo che sociale. In sostanza è il progetto di un sindacato di classe che sappia agire in una realtà sociale e lavorativa frammentata come quella prodottasi nel nostro paese negli ultimi trenta anni.
Per misurarsi con questa complessità della realtà sociale, la CUB non esita a mettersi in gioco su due livelli.
Il primo è quello della "costituente di un nuovo soggetto sindacale" che parta dall’esperienza del Patto di Base ma lo estenda anche ai movimenti sociali definendo comunemente le modalità di confronto, organizzazione e decisionalità. "Sarà la discussione collettiva a darci le risposte che cerchiamo da tempo su quale sindacato occorre e su quale sindacato costruire" dice Leonardi "Ciascuno dei soggetti che decideranno di partecipare alla fase costituente dovrà portare il proprio contributo e la propria ipotesi di lavoro s u cui discutere".
Il secondo è la sperimentazione di un sindacalismo conflittuale e indipendente che guardi non solo alle vertenze aziendali e categoriali ma anche alla contrattazione sociale su questioni come casa, reddito, servizi, cultura. In tal senso l’acronimo di sindacato metropolitano è da intendersi ovviamente più come indicazione di una ipotesi di lavoro che come l’organizzazione di una nuova categoria da affiancare alle altre.
Il dato interessante è stato quello di verificare l’impatto di queste proposte sul corpo dei delegati della CUB e negli interlocutori invitati a seguire l’assemblea nazionale di Riccone.
L’SdL, organizzazione co-fondatrice del Patto di Base, intervenuta al dibattito con diversi interventi (Sabbatini, Tommaselli) è apparsa molto interessata al progetto di un nuovo soggetto sindacale consapevole che "oggi c’è bisogno di mettere in campo una forza alternativa per i lavoratori". Il prossimo giugno SdL terrà la sua assemblea nazionale e discuterà esplicitamente le proposte emerse da Riccione.
Lo Slai Cobas, con cui in passato le relazioni erano state difficili in molti aspetti, è intervenuto con uno dei suoi coordinatori nazionali (Delle Donne) segnalando le specificità – che vanno mantenute e rivendicate – ma aprendo molto chiaramente ad una ipotesi ricompositiva del sindacalismo di base in un nuovo soggetto.
La Confederazione Cobas con l’intervento di Piero Bernocchi ha sottolineato come noto la propria accezione di soggetto politico-sindacale ritenendo la divisione dei due ambiti superata dall’esperienze venute fuori dai movimenti sociali dell’ultimo decennio soprattutto nell’ambito dei movimenti antiglobalizzazione. "In una situazione in cui siamo circondati dalle macerie occorre fare un salto in avanti rispetto al sindacato che abbiamo conosciuto, dobbiamo creare un soggetto nuovo e plurale che sappia fare politica e sindacato e incalzi il capitalismo su tutti i fronti".
Molto attesi gli interventi degli attivisti dei Blocchi Precari Metropolitani (Di Vetta, Viccaro, Lutrario) perché materializzavano per la prima volta dentro una assemblea sindacale le possibili connessioni – ed anche le differenze- tra l’intervento sindacale nei posti di lavoro e quelli nel territorio. Il sindacato metropolitano mette i piedi nel piatto proprio su queste connessioni. Secondo i BPM: "Il sindacalismo metropolitano può divenire un movimento politico nel senso pieno del termine, ma deve saper ricomprendere al suo interno anche la funzione sindacale in senso stretto….Il sindacalismo metropolitano non costituisce un orizzonte nuovo soltanto per i sindacati di base ma anche per i movimenti diffusi nelle metropoli".
Una funzione di cerniera e di sperimentazione dei due ambiti è stata svolta in questi anni dall’esperienza dell’Asia/RdB che – insieme alla lotta per la casa storica - da tempo ha avviato la conflittualità e la contrattazione sociale sulla questione abitativa in diverse città dando vita in tempi più recenti ad una collaborazione fattiva con l’esperienza dei Blocchi Precari Metropolitani.
Ma è negli interventi dei delegati di vari comparti (dalla Difesa ai Vigili del Fuoco, dalla grande distribuzione all’energia, dalla scuola ai trasporti fino ai metalmeccanici) che il nesso tra sindacato come organizzazione dei lavoratori sul posto di lavoro con tutto ciò che nella società si esprime come domanda sociale disattesa e come conflitto viene quasi naturale. Le vertenze territoriali (dalla casa, agli inceneritori, dai servizi alle centrali nucleari) da tempo sono entrate nell’agenda dei sindacati di base. Parafrasando si può dire che se governo, padroni e sindacati cercano di mettere i padri contro i figli sul piano delle tutele e dei diritti sociali, il nuovo modello sindacale si pone l’obiettivo di mettere insieme i padri con i figli su un percorso di resistenza e di emancipazione comune.
L’irruzione della questione "politica" nel sindacato e l’irruzione di un nuovo modello sindacale unitario ma anche"metropolitano", si sono dunque innestati dentro un dibattito che ha attraversato in questi mesi tutte le strutture della CUB producendo alcune lacerazioni ma – alla luce di quello che abbiamo visto e sentito a Riccione – anche un impressionante salto di qualità e di prospettive del sindacalismo di base. L’indipendenza politica della CUB rivendicata a gran voce da tutti i delegati e i coordinatori non significa certo indipendenza "dalla politica" sia in termini di dibattito che di funzione. E’ evidente come davanti al disastro della "politica" dei partiti della sinistra e alla complicità dei sindacati concertativi (a cui quella politica resta legata mani e piedi), una esperienza sindacale riuscita, che riesce a mettersi in gioco e rilanciare addirittura una nuova proposta unitaria che permea il lavoro e il sociale, mette prepotentemente sul piatto non solo un radicamento sociale oggi indispensabile tra istanze conflittuali e pezzi di società ma anche un modo di analizzare e di stare dentro la crisi del capitale. Il progetto e la funzione usciti dall’assemblea nazionale della CUB a Riccione non sono sicuramente la funzione di "supplenza" al degrado della politica che la Cgil è stata chiamata a svolgere nel 2002 e in questi mesi per dare il tempo al PD di portare avanti il suo progetto. Al contrario è una rivendicazione di protagonismo conflittuale, politico e sociale, che il sindacalismo di base intende mettere in campo per resistere ai "demoni" dell’involuzione reazionaria del paese e per avviare quella controtendenza di classe che oggi la "politica" dei partiti della sinistra appare del tutto incapace di discutere e di avviare.
26 maggio 2009 - Dazebao
I sindacati di base verso un unico soggetto
di Adriana Spera
Riccione - L’assemblea della Confederazione Unitaria di Base (Cub) tenutasi nei giorni scorsi a Riccione potrebbe segnare una tappa decisiva per il futuro del sindacalismo indipendente e di base con la possibile confluenza di RdB, SdL e Cobas nella stessa Cub.
L’iniziativa non è stata provocata dai decreti liberticidi e vessatori di Brunetta (di cui pure si è parlato) bensì dalla necessità di una profonda riflessione sul ruolo che dovrebbe svolgere il sindacato nel nostro tempo segnato dalla parcellizzazione del lavoro, dalla precarizzazione crescente, dalla disoccupazione, dalla finanziarizzazione dell’economia, da una concentrazione della ricchezza sempre più nelle mani di pochi, mentre, viceversa, diritti prima garantiti, come quello alla casa, alla pensione, alla salute e all’istruzione, vengono erosi. Insomma, si è discusso del percorso migliore per arrivare ad una unità del sindacato di base, quanto mai necessaria in una società sempre più involuta, con un sistema politico che rischia una trasformazione autoritaria. Alcuni hanno anche sottolineato la necessità di coordinare le vertenze andando oltre quelle di lavoro, di muoversi a largo raggio nella difesa dei diritti, costituendo un sindacato metropolitano che intrecci le battaglie nei luoghi di lavoro con quelle locali contro le speculazioni. Così come è fondamentale rafforzare gli strumenti di informazione vista la balcanizzazione dei media. Dalla base una forte richiesta di unità cui hanno dato una risposta convinta molti dirigenti di RdB e di SdL. Diversamente, i Cobas sono apparsi più perplessi, per il loro leader sindacati e partiti sono "strumenti novecenteschi" ormai non più attuali per affrontare i problemi del nostro tempo, tuttavia non ha esplicitato quale dovrebbe essere lo strumento innovativo per difendere i lavoratori. L’assemblea si è chiusa con la nomina di un comitato costituente che apra il percorso verso la formazione di un unico soggetto sindacale di base in grado di contrapporsi con maggiore vigore alle politiche sempre più concertative e filogovernative di buona parte del sindacalismo confederale.
24 maggio 2009 - Il Manifesto
SINDACATI DI BASE
Obiettivo: organizzare i lavoratori. Ma uniti, perché soli si scompare
di Francesco Piccioni
RICCIONE - Il passaggio alla maggiore età è un momento importante per gli individui come per le organizzazioni. Qui all'Assemblea nazionale della Cub c'è chi lo vive con impaziente entusiasmo e chi ha nostalgia della minorità. Per il sindacalismo di base la via sembra però ormai tracciata con sufficiente decisione: l'obiettivo è arrivare a un soggetto unitario, credibile tra i lavoratori in generale e non soltanto dentro le nicchie che fin qui hanno fatto da habitat prevalente. Credibilità significa capacità di produrre, con le vertenze, risultati concreti, verificabili in busta paga o in termini di diritti o condizioni di lavoro. Significa anche formazione dei delegati e dei lavoratori, perché ognuno sia in grado di riprodurre «autodifesa» collettiva. Significa, in definitiva, «pensare in grande», fuori dalle logiche di piccolo gruppo. Il convitato di pietra è la crisi globale, che cambia rapidamente lo scenario, toglie la terra sotto i piedi a milioni di persone contemporaneamente, azzera poteri che sembravano solidi (qui il «sindacalismo concertativo» è visto in drastica discesa), evoca mostri come il razzismo e la guerra tra poveri, ma costituisce anche l'occasione entro cui o si diventa soggetto trainante oppure si scompare. La massa dei delegati appare d'istinto molto più «unitaria», si vede che vive con difficoltà — nei posti di lavoro — separazioni sempre meno spiegabili tra sigle che fanno, grosso modo, lo stesso tipo di attività. Fabrizio Tomaselli, coordinatore dell'SdL, coglie questa tensione e vede «settori importanti del mondo del lavoro che possono interpretare l'unificazione come un punto di riferimento in tempi rapidi». È un via libera convinto, senza riserve. E proprio il fattore tempo è l'elemento che esclude ogni ritualità dalla discussione in atto. Nella testa di tutti c'è chiaro il precipitare della crisi sull'occupazione, il livello dei salari e la vigenza dei diritti. Nei prossimi mesi, secondo i dati della stessa Confindustria, arriveranno al pettine molti nodi occupazionali, creando lacerazioni e tensione sociale. E all'inizio del prossimo anno ci sarà un congresso della Cgil che al momento si presenta denso di incognite. «I treni, o si prendono quando passano oppure si resta a terra» è la metafora ricorrente. Perché l'obiettivo «non è quello di rappresentare i lavoratori o interi settori sociali, ma di organizzarli». Sono finiti i tempi dei partiti o sindacati « leggeri» , attenti più a essere riconosciuti dalla controparte che a difendere gli interessi tangibili dei «rappresentati». È in gioco la nozione di sindacato per come lo si è fin qui conosciuto. La stessa idea di «sindacato metropolitano», qui avanzata come possibile sintesi delle relazioni che vanno maturando con settori diversi dal lavoro classico, sarà suscettibile di diversa declinazione. E' il punto su cui si concentrano le perplessità di Piero Bernocchi che, a nome della Confederazione Cobas, indica la necessità di «una cosa nuova perché siamo dentro un passaggio epocale, con una diversa dislocazione dei conflitti». Una cosa «già oltre il sindacato» (l'esempio sono le lotte della scuola di quest'anno, con i genitori accanto a professori e studenti), un «soggetto plurale», che «non contempla più la separazione novecentesca tra sindacato e partito». I Cobas, del resto, cercano da anni di praticare questa visione. E par di capire che i tempi dell'unificazione (che pure «si può cominciare da subito nelle categorie») saranno su questo lato più lenti di quanto appaia, a questa assemblea, necessario e desiderabile. Non sarebbero distinguo invalidanti, se gli scenari globali fossero meno traumatici e, soprattutto, veloci.
24 maggio 2009 - Liberazione
Assemblea nazionale della Cub a Riccione
Il sindacalismo di base discute "cosa" diventare
di Fabio Sebastiani
Riccione - Il sindacalismo di base di fronte alla "cosa". Cosa farà? Un sindacato-sindacato o un sindacato-partito? Una confederazione di organizzazioni o un soggetto organizzato in confederazione? La Camera del lavoro metropolitana o una Camera dei redditi? Quello che una volta era chiamato il movimento sindacale extraconfederale si appresta al salto di qualità. E pure in tempi brevi, in autunno l'assemblea costituente e poi il soggetto unico o unitario che sia, giusto in tempo per non presentarsi del tutto sguarniti a due scadenze centrali per il movimento sindacale italiano in questa fase: il congresso della Cgil del 2010 e la nuova legge sulla rappresentanza che investirà sia il settore pubblico che quello privato. Insomma, l'unico punto chiaro è che Cobas, Usi, Sdl, Rdb e parte della Cub, non hanno più spazi per tergiversare. A loro questa volta potrebbe unirsi anche lo Slai-Cobas, per il quale ieri all'assemblea nazionale della Cub è intervenuto Corrado Delle Donne sottolineando la necessità di «un cambio di marcia». L'orizzonte per lo Slai-Cobas e per tanti altri, è quello del sindacato di classe. Già, ma quale classe? Uno dei temi affrontati dai delegati, e che presumibilmente diventerà uno dei nodi centrali del soggetto futuro, è stato proprio quello dell'identità sociale del nuovo sindacato. Anzi, della «cosa nuova», come l'ha definita Guido Lutrario di "Blocchi Precari Metropolitani". Un radicamento nel mondo del lavoro per progredire via via fino ad includere il non-lavoro, o una struttura trasversale che da subito si ponga il problema del "sociale" e affronti dentro un nuovo sistema di alleanze i temi della cosiddetta confederalità?
Comunque sia, dalla base la spinta a fare presto che gà si era manifestata a Milano un anno fa, è sempre più netta e urgente. Il gruppo dirigente del sindacalismo di base è stato invitato a mettere da parte gli "orticelli personali" per lanciarsi «senza paura» (Fabrizio Tommaselli, Sdl) verso un nuovo percorso di conflitti e di vertenze. Dovrà necessariamente tenere il timone della politica, come vuole Piero Bernocchi, o potrà confrontarsi senza rete con il magma che viene fuori dalla nuova composizione di classe rischiando di avere tra gli iscritti il lavoratore leghista che smessa la tuta blu la sera va a picchiare l'extracomunitario? «Lo vogliamo decidere noi», reclamano a gran voce singoli rappresentanti sindacali, «basta che ci diate l'opportunità senza indugiare oltre». Dalla platea di Riccione si capisce che il tempo delle "autocelebrazioni" e di identità fondate sulla diversità da Cigl Cisl e Uil è finito. Ora è il momento di un sindacato che nel conflitto trovi la via «dell'efficacia» (Laura Bergamini, Parma). L'interlocuzione con la Cgil? «Certo, con Cremaschi si parla», dice Delle Donne, «ma va rimosso lo scoglio del 33%». «Siamo coscienti delle differenze dice Mauro Casadio - ma dobbiamo trovare forme per andare avanti».
Lo spazio potenziale che si sta aprendo, del resto, è grande. E non solo perché il sindacato nell'epoca del centrodestra diventerà la "cosa chiusa" di Bonanni&Co., che si baserà sempre di più sugli affari e sempre di meno sul conflitto, ma perché ormai la tendenza del capitalismo, come chiarisce il professor Luciano Vasapollo, punta sempre più verso la distruzione «del lavoro e delle merci, della ricchezza e dello Stato». Quindi, in poche parole, il conflitto sociale può solo consegnarci il "paradigma della costruzione". Sta al sindacalismo di base percorrerlo senza cedere da un lato al riflesso condizionato dell'irriducibilità e, dall'altro, accogliendo democrazia e confronto interno come elemento costitutivo dell'identità. Ora l'alchimia è affidata più che agli apprendisti stregoni e all'ottimismo della volontà, alla creatività e alla capacità di inventare nuove formule. Formule che aiutino in questa fase la moltitudine di modelli organizzativi in una "cosa" che sappia fare della diversità la sua eccellenza. «Quale sindacato serve nell'epoca in cui il "tanto peggio tanto meglio" non vale più?» si chiede Tommaselli. Per Paolo Leonardi, che ha tenuto la relazione introduttiva, è indispensabile «superare le divisioni che pure esistono, soprattutto a livello di categoria e di territorio, e le diversità che pure ci sono, per arrivare quanto prima alla costruzione di un nuovo soggetto sindacale in cui far confluire, perché siano esaltate, tutte le nostre diversità e le nostre esperienze». «Ma sappiamo che molte volte "il meglio è nemico del bene" e che - ha concluso - se la sostanziale unificazione delle varie organizzazioni rappresenterebbe senz'altro il traguardo migliore, sappiamo anche che tali condizioni devono maturare senza forzature, se vogliamo davvero che siano durature e positive».
Daniela Pitti rappresentante sindacale Rdb
«Stare uniti farà bene al movimento ma alla larga dalle poltrone della politica»
Riccione - Daniela Pitti è una delle tante maestre d'asilo che a Roma hanno portato avanti la lotta contro le "esternalizzazioni". Da un po' di anni è una rappresentante sindacale delle rappresentanze di base. Nella platea dell'assemblea nazionale della Cub è sicuramente tra le più giovani.
Come vedi questo processo costituente e quali aspettative hai?
Il sindacato di base fa parte delle mie corde da sempre perché è una continuazione di ciò che realmente penso. Rdb fa con chiarezza la lotta contro le esternalizzazioni e la privatizzazione dei servizi. Deve essere un sindacato che parte da un movimento dal basso, realmente espressione delle reali esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. L'unificazione del sindacato di base è un risultato positivo. Credo sia assurdo continuare a fare la staffetta l'uno con l'altro se alla fine molti punti sono del tutto simili. Questo processo di unificazione avrà ricadute positive anche per il territorio e le realtà che vi intervengono. Verso il sindacato di base unito c'è molta attenzione da parte del movimento e dei collettivi. E questa ricchezza non va dispersa.
Non pensi che il sindacato di base abbia accumulato un po' troppo ritardo?
Molti lavoratori chiedono da molto tempo che questo processo di unificazione giunga a maturazione. Però tra gli stessi lavoratori c'è molta confusione. Come si è verificato nella lotta contro la legge Gelmini, alcune realtà hanno chiesto di partecipare a tutti gli scioperi, indifferentemente del sindacalismo di base e dei sindacati confederali. E' chiaro che c'è un'incapacità a comprendere le scelte di Cgil Cisl e Uil.
Non siamo più però nell'epoca del lavoratore politicizzato pronto a recepire il messaggio sindacale. Come pensi di affrontare questo nodo?
Cerco di spiegare le motivazioni che impediscono a Rdb di unirsi a chi il giorno prima ha firmato un brutto accordo e il giorno dopo chiama alla lotta. Nei territori la necessità più immediata è quella di costruire camere del lavoro o luoghi in cui si spieghi almeno quali sono i diritti di base dei lavoratori e quali sono i percorsi sindacali. A volte i lavoratori e le lavoratrici rimangono muti davanti al dirigente che gli impedisce di distribuire il volantino o che strappa i manifesti del sindacato di base.
Tu da dove cominceresti il lavoro del nuovo soggetto?
Innanzitutto da questo percorso di alfabetizzazione e poi dal radicamento nel territorio. Ho trovato difficoltà, per esempio, a portare i lavoratori a dei semplici incontri nelle sedi sindacali centrali. Se invece esistesse un punto di riferimento in ogni municipio questo lavoro sarebbe più facile.
Perché un lavoratore dovrebbe scegliere un sindacato di base rispetto al sindacato confederale?
Credo che la spinta fondamentale venga dalla volontà di sottrarsi ai ricatti sottili, alla continua erosione dei diritti, al clima di paura che ormai va sempre più dilagando anche nella pubblica amministrazione.
Su che cosa si può vincere la competizione con il sindacato confederale in un momento in cui non si può più parlare di concertazione?
E' un percorso lungo, però penso che il nodo delle esternalizzazioni e delle privatizzazioni sia sicuramente prioritario. L'averlo affrontato ha sicuramente rafforzato il sindacalismo di base, e i risultati si sono visti.
Quale rapporto con la politica?
No, no per carità, bisogna tenersi lontano dalla politica e meno che mai entrare nelle dinamiche di distribuzione delle poltrone perché per noi sarebbe difficilissimo districarsi.(Fa.Seba.)
24 maggio 2009 - Radio Città Aperta
A Riccione l’Assemblea Nazionale della CUB
per un nuovo soggetto sindacale dei lavoratori e dei movimenti sociali
di Mila Pernice
Riccione - Si conclude oggi l’Assemblea Nazionale della Confederazione Unitaria di Base che da venerdì ha visto la presenza a Riccione di circa 500 delegati, per l’avvio della fase costituente di un nuovo soggetto sindacale alternativo sul piano della conflittualità rispetto a quella che ormai si profila come la sempre più stretta complicità tra i sindacati confederali e il mondo del padronato (governo e Confindustria); una complicità richiesta a gran voce dal Ministro Sacconi al Congresso della Cisl e accolta dai confederali, gli stessi che attraverso la concertazione tanti danni hanno arrecato a partire dagli accordi del ’93 al mondo del lavoro, come hanno dimostrato le pesanti conseguenze della politica dei redditi, che in Italia hanno perso negli anni sempre più potere d’acquisto, e come ha dimostrato il rapporto dell’OCSE secondo cui oggi i salari italiani sono i più bassi tra i paesi industrializzati. Il nuovo soggetto sindacale dovrà tenere conto delle eterogeneità presenti nel mondo del lavoro e della precarietà ma anche nella società, nel mondo del non-lavoro, nelle lotte per la casa e per il diritto allo studio, nelle lotte per la riappropriazione degli spazi e contro il carovita. In questo senso si inserisce a pieno titolo nel processo costituente avviato dalla più importante organizzazione del sindacalismo di base il progetto di un "sindacato metropolitano", come risultato di un incontro e di un confronto dinamico tra chi opera nei luoghi di lavoro e fuori dai luoghi di lavoro, come i Blocchi Precari Metropolitani e tutti quei movimenti sociali che intendano prendervi parte pur con le loro modalità e diversità di esperienze. Dopo circa 3.000 assemblee preparatorie realizzate in tutta Italia nei luoghi di lavoro e nei territori, l’appuntamento nazionale della CUB – previsto inizialmente a Cattolica ma poi trasferito a Riccione in una struttura più capiente - ha ribadito l’importanza della formazione e della comprensione dei processi reali avvenuti e in atto sul piano economico, industriale e del mercato del lavoro; a questo grande attenzione hanno dedicato negli anni le Rappresentanze Sindacali di Base Rdb/Cub e grande attenzione dedicherà il processo confederale avviato dalle diverse sigle. Rispetto alla stagnazione totale prodotta dal vuoto della politica e dalla concertazione, la CUB propone oggi un modello sindacale che continui a non sottrarre alle lotte per i diritti sociali e dei lavoratori la conflittualità che ha sempre contraddistinto il sindacalismo di classe. Avviato da un Patto di Consultazione Permanente di un anno fa a Milano tra Cub, Cobas e Sdl, e passato per il Patto di Base di pochi mesi fa a Roma, il processo costituente del nuovo soggetto sindacale prenderà le mosse dal voto di oggi sul documento finale, rispetto al quale vi sarà un ampio consenso, e dal varo di un Comitato Costituente che dia l’avvio a questa sfida importante.
23 maggio 2009 - Il Manifesto
ASSEMBLEA NAZIONALE
Sindacalismo di base è scoccata l'ora del percorso unitario
di Francesco Piccioni
RICCIONE - Aria nuova, e anche un bel salto di maturità, nel sindacalismo di base. In pochi mesi, complice la crisi globale e la semiparalisi dell'opposizione storica, questa galassia di piccole organizzazioni, radicate in comparti sparsi della produzione e non, ha preso con decisione la via del «percorso unitario». Com'era in parte scontato, questa nuova vita parte lasciandosi alle spalle un piccolo pezzo di storia, la parte di Cub legata al milanese Piergiorgio Tiboni, per guadagnare tutto il resto. Ossia un mondo di conflittualità sociale e sindacale che tendenzialmente può coprire gran parte dei settori popolari messi sotto stress dalla crisi. Già nei mesi scorsi il «patto di consultazione permanente» con SdL intercategoriale e Confederazione Cobas era stato trasformato in un più solido «patto di base», con alle spalle la confortante prova di forza dello sciopero generale del 17 ottobre. La proposta lanciata ieri a Riccione da Paolo Leonardi, coordinatore nazionale della Cub, introducendo i lavori dell'Assemblea nazionale, è una «fase costituente». Non una semplice frase augurale, però, visto che presuppone anche un «Comitato costituente» chiamato a gestirla.
Una proposta che prende le mosse da una lettura della crisi e delle trasformazioni già avvenute o in atto nel mondo del lavoro e che prefigura, per un verso, una decisa svolta verso un modello di sindacato «confederale» - fin qui, nella Cub, si sono riunite singole organizzazioni, non categorie di lavoro - e la creazione di un «sindacato metropolitano» per organizzare, riunire, far contare tutte quelle figure precarie che non hanno un posto di lavoro continuativo e magari «fungono inconsapevolmente da ricatto verso i lavoratori stabili». O anche figure che vivono problemi differenti, «che non hanno una casa di proprietà», «gli immigrati che sono buoni solo quando devono fare i badanti o le braccia nelle fabbriche e nei cantieri».
Rispetto al passato, si affina anche la lettura critica del sindacalismo definito «concertativo». La rottura «complice» operata da Cisl e Uil, con la firma della «riforma del modello contrattuale», e il contemporaneo imbarazzo di una Cgil incerta sulla strategia da seguire, non lasciano indifferenti. Specie quando c'è un «governo che ha deciso di andare all'attacco definitivo della forma sindacato che si era affermata nel '900». Ciò non impedisce di registrare le improvvise svolte a destra di questo o quel dirigente Cgil. Qui, anche per la forte presenza del pubblico impiego, hanno notato subito la sortita di Carlo Podda, segretario della funzione pubblica che ha lanciato il «contratto unico a tutele progressive, in tutto e per tutto la proposta di Ichino, Boeri, e altri»; ma anche «lo scandaloso protocollo sul contratto della mobilità», siglato nei giorni scorsi anche dalla Cgil).
Ma il cuore della riflessione resta il contrasto ai «padroni" (industriali, banchieri su tutti), responsabili sia della crisi che dell'attuale «involuzione culturale»". Non solo di questo paese, ma dell'intero Occidente. Nonostante Obama, infatti, «mentre la crisi infuria, i governi spargono a piene mani ottimismo e inoculano i veleni xenofobi tra la gente», come se fosse possibile «imputare ad altri, più sfortunati di noi, la nostra riduzione di potere d'acquisto». Cambiamenti giganteschi, e densi di pericoli. Stavolta, in questo sindacalismo «antagonista», non si sentono accenti «sprezzanti e autosufficienti». Ci si pone invece seriamente la domanda «se oggi noi siamo adeguati a riempire gli spazi che si sono aperti». Per poi cominciare, con modestia e determinazione, la strada per costruire una risposta positiva.
23 maggio 2009 - RTM
VIGILI DEL FUOCO ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE DELLA CUB
Sono iniziati i lavori dell'assemblea del sindacalismo di base. L'annullamento dei partiti d'opposizione e l'avvento di un governo capitalista e confindustriale ci porta a nuovi riassetti sindacali. Non può essere l'attuale modello sindacale l'elemento di contrasto a questa deriva. Le varie iniziative capitaliste e liberali, come l'attacco ai contratti di lavoro – pensioni - scuola – sanità – precariato ci pone la necessità della costruzione di un fronte sindacale di base più forte ed aperto non solo da quello che proviene dal mondo del lavoro ma tra i cittadini nei quartieri; creare un sindacato metropolitano tra la gente. I vari governi sanno bene che le contraddizioni stanno per scoppiare e si organizzano privando i lavoratori dei loro strumenti sindacali: il diritto di sciopero, rappresentatività e aumenti contrattuali da "social card". Con l'aiuto dei sindacati di "stato" o peggio di quei sindacati che si definiscono di sinistra e tra i lavoratori mentre poi firmano contratti in perfetta linea con quello che ha deciso il governo e confindustria – Triennalità. I Vigili del fuoco partecipano a pieno titolo a questo grande rilancio del sindacalismo di base. Dopo la militarizzazione e regolamento di servizio che ci spingono in una strettoia dove il lavoratori avranno sempre più difficoltà a muoversi. Abbiamo dato dimostrazione come si può continuare a fare sindacato in completa libertà contrastando e lontani dalle logiche dei vari governi e sempre a fianco dei lavoratori. Vale la pena ricordare che durante la recente emergenza Abruzzo abbiamo avuto il coraggio di denunciare come il sistema di protezione civile senza i Vigili del fuoco rappresenta solo le esigenze dei governi e non privilegia le attività del soccorso e della prevenzione. Ora si passa nella fase di di rafforzamento e radicamento – bisogna dare risposte ai lavoratori che ci attendono con riconoscimenti e valorizzazioni delle attività che svolgiamo giornalmente. Non vogliamo essere omologati a nessuno ne attestarci ad altri enti che sanno peggio di noi. Rafforziamo la nostra identità questo è l'obiettivo che ci siamo posti con questa assemblea.