Al tavolo sull'Ilva giocano col morto
Difficile parlare oggi della vertenza Ilva dopo che la furia della natura ha colpito e devastato la città di Taranto e una parte dello stabilimento tarantino, procurando morti, feriti e danni. Qualcuno invoca il destino cinico e baro, qualcuno dice che una maledizione si è abbattuta sulla città.
Qualcuno, e noi fra questi, pensa che ci sia un nesso tra causa ed effetto e che la natura produce danni tanto più gravi la dove è stata quanto più violentata e martoriata. E a Taranto e all’Ilva su questo hanno un primato certo e non discutibile.
Ma mentre la città e gli operai ancora si guardano attorno e contano i danni umani e materiali di questa catastrofe, il governo, cgil, cisl, uil e confindustria si siedono al tavolo per decidere che la Magistratura in questo Paese non conta nulla, che se assume posizioni e decisioni in contrasto con gli interessi del capitale può essere estromessa e le sue decisioni annullate in nome del profitto.
Poi condiscono il tutto con la preoccupazione di mandare al macero 20.000 posti di lavoro, come ha affermato la ministra Fornero paragonando i lavoratori agli stracci, perché sono questi cha vanno al macero, ma al fondo la preoccupazione è quella esposta a chiare lettere, e senza vergogna, dal ministro Clini che l’unica cosa che riesce a dire è che la chiusura dell’Ilva “favorisce la concorrenza straniera”.
Ovviamente a questo incontro non ci sono invitati scomodi. Non c’è chi si è battuto nelle scorse settimane per pretendere maggiore sicurezza nello stabilimento dopo la morte del giovane operaio del MOF schiacciato dal locomotore su cui era costretto a lavorare da solo grazie ad un infame accordo sindacale che aveva monetizzato il peggioramento delle condizioni di sicurezza.
Non ci sono neanche quelli che si chiedono cosa ci faceva su una gru, in una parte di stabilimento che doveva essere ferma perché bloccata dai magistrati, un altro ventinovenne, ora “disperso” (sic!), nonostante un vento fortissimo già spirasse prima della tromba d’aria.
Non c’è chi pensa che quello stabilimento che produce morte per i suoi operai e per la città di Taranto non debba più operare un solo minuto in quelle condizioni e che la tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini sia un bene supremo che non si può subordinare al mercato; non c’è chi pensa che uno Stato che sia tale dovrebbe ritenere l’Ilva “sito strategico di interesse nazionale” non per consentire di continuare a produrre nelle condizioni attuali, militarizzando il territorio e impedendo ogni conoscenza trasparente su quanto verrà fatto, ma per riprenderselo, nazionalizzandolo e intervenendo con tutta l’energia necessaria per renderlo uno stabilimento moderno, eco compatibile, in cui andare a lavorare non sia, ogni giorno, per migliaia di operai e per le loro famiglie, come giocare alla roulette russa.
Non ci sono i lavoratori dell’Ilva.