Affrontare la crisi Alitalia senza escludere la nazionalizzazione.
Dall'inizio della liberalizzazione dei cieli avvenuta decine di anni fa e che ha fatto da apripista per il più vasto processo di liberalizzazione e globalizzazione dei mercati e della finanza, Alitalia ha attraversato una serie di crisi pesantissime.
Anni di riduzione progressiva di aerei e direttrici coperte dalla ex compagnia di bandiera.
Anni di forti tagli al personale che hanno ridotto i dipendenti da 25.000 a poco più di 10.000, nonostante i dati del traffico aereo in Italia aumentino senza sosta.
Anni di abbandono di settori, come quello della manutenzione, dove la professionalità del personale di Alitalia era apprezzata in tutto il mondo ed assicurava commesse per altre compagnie aeree.
Anni di forte contrazione di salari ma anche e soprattutto di condizioni di lavoro sempre più pesanti e di aumento dell'orario di lavoro.
Anni in cui i diritti e la dignità della gente dell'Alitalia sono stati via via ridotti e calpestati.
Anni che hanno visto avvicendarsi pubblico, "semipubblico" e privato e alleanze internazionali di vario tipo senza che ciò abbia prodotto svolte positive.
Anni che hanno visto avvicendarsi vertici aziendali e presunti grandi manager tanto superpagati quanto incapaci e che in alcuni casi, forse troppo pochi, sono finiti in tribunale.
Anni che a prescindere dalla natura pubblica o privata di Alitalia, hanno reso visibile gli intrecci poco chiari tra gruppi economici, partiti e gestione dell'azienda.
Alla base di tutto ciò troviamo soprattutto due questioni strutturali che sosteniamo e ribadiamo da sempre e che con lo sviluppo delle compagnie low cost sono diventate fondamentali.
1. Se le low cost hanno di fatto occupato tutti i mercati sui voli di corto e medio raggio presidiati in modo debole dalle compagnie nazionali e dai rispettivi stati, come quello italiano, allora sarebbe stato ed é ancora logico industrialmente rivolgere la propria attività sui voli di lungo raggio ed intercontinentali, più remunerativi e non soggetti alla concorrenza low cost. Per fare ciò sono necessari investimenti importanti per lo sviluppo della flotta. A chi dice che i soldi non ci sono, rivolgiamo l'invito a dare un'occhiata ai bilanci degli ultimi venti anni ed a sottolineare in rosso i miliardi spesi inutilmente, gli errori manageriali, le alleanze sballate come quella con Air France che ha sottratto ricchezza invece che produrne, al malaffare e alla malagestione.
2. In questi anni la liberalizzazione del trasporto aereo italiano è andata molto oltre la deregulation. Cosa che invece non hanno fatto altri paesi con le loro compagnie aeree, prime fra tutte la Francia e la Germania. Questi paesi hanno protetto comunque le loro compagnie costruendo un sistema paese in cui i trasporti, tutti i trasporti, hanno assunto un ruolo trainante dell'economia ed hanno impostato una lotta senza quartiere allo sviluppo disordinato delle low cost, pretendendo giustamente che le leggi e le normative nazionali fossero rispettate. In Italia invece le regole si sono frantumate, le low cost vengono “foraggiate” da enti locali e società aeroportuali spesso pubbliche, i lavoratori vengono assunti, sottopagati e super-sfruttati, con contratti non italiani, le tasse si pagano altrove, le normative vengono messe tutti i giorni sotto i piedi. In pratica il paradosso è che il paese, nel suo complesso, sostiene più le low cost che Alitalia. C'è quindi un problema di rispetto delle regole e della legalità, degli interessi del paese a livello strutturale, normativo ed occupazionale.
L'attuale gestione e proprietà dell'Alitalia, pur se non condivisibile dal punto di vista del rapporto con i lavoratori, sembrava aver compreso tali criticità ed opportunità, visto anche l'aumento progressivo del trasporto aereo in Italia. L'enunciazione dei piani industriali faceva emergere questi due obiettivi di fondo, ma le notizie di questi giorni appaiono contraddittorie e difficilmente comprensibili.
Se così fosse, dopo che per le banche si stanno stanziando miliardi e miliardi pubblici per interventi che significano salvataggio dei grandi investitori e non soltanto dei piccoli risparmiatori, siamo convinti che nel caso di presentazione di un nuovo piano per Alitalia che a fronte di un rifinanziamento parziale preveda tagli, esuberi e ridimensionamento complessivo, sarebbe assolutamente giusto e credibile un intervento diretto dello stato, la nazionalizzazione, la ridefinizione di un vero progetto industriale e l'intervento deciso per far rispettare le leggi, le regole e gli interessi del paese.