A proposito di lavoro e disoccupazione
Da alcuni giorni sono usciti i nuovi dati sull'occupazione. Nessun commento sugli 0,1 in più o in meno rispetto al mese e all'anno precedente: non servirebbe a nulla e non modificherebbe certo le considerazioni sulla tendenza che ormai si riscontra da un decennio, cioè da quando la crisi internazionale ha rimesso in discussione completamente criteri e certezze sino ad allora considerati fondamenti incrollabili dell'economia e della finanza a livello internazionale in tutto il mondo capitalistico.
Il culto del dio mercato e la liberalizzazione totale di merci, produzioni e lavoro ha prodotto uno sconvolgimento sociale senza precedenti e una disoccupazione ormai strutturalmente alta in molti paesi europei e l'Italia è uno dei più colpiti.
L'occupazione, dopo la forte contrazione degli ultimi anni, è di fatto “stabile” su valori bassissimi e la disoccupazione è anch'essa ferma sul 13 – 14%, con una componente tra i giovani che oscilla sul 40%. Aumentano coloro che non cercano più lavoro e aumentano principalmente i lavoratori oltre i 50 anni perché non riescono più ad andare in pensione.
Le ricette che il governo Renzi, come quelli precedenti di centro-destra e centro-sinistra, sta progettando ed attuando seguono pedissequamente i dettami dell'Unione Europea e della finanza internazionale.
Prima sgravi contributivi che hanno favorito e continueranno a favorire in modo eclatante le aziende sottraendo soldi alle casse dello stato; ora si pensa e si sta contrattando con Confindustria, Cgil, Cisl e Uil l'accentuazione della retribuzione di produttività, che vuol dire in sintesi superamento del Contratto nazionale e ulteriori risparmi per le aziende.
Tutto ciò non tiene conto dell'aspetto più importante: le aziende, anche se pagano meno il costo del lavoro, non inventano produzione aggiuntiva se il mercato non lo richiede e mai potranno competere con paesi dove le materie prime e il lavoro costano la metà che non in Italia.
E allora è l'impianto generale che va rivisto. Sono i fondamentali che devono essere rimessi in discussione, a cominciare dalla gabbia dell'Unione Europea e dei suoi trattati.
Poi serve uscire dallo strangolamento del ricatto della restituzione forzata del debito pubblico e una politica economica che parta dal sociale, dal salvataggio di grandi e medie imprese attraverso l'intervento diretto dello stato, dalla nazionalizzazione di quelle banche che stanno drenando la maggioranza dei capitali sottraendoli dalle tasche dei cittadini. Serve un piano generale economico che valorizzi le peculiarità del nostro paese, a cominciare dal turismo e dalle attività legate all'agro-alimentare, come anche dalle tante industrie di eccellenza presenti nel paese. E anche un piano pluriennale che metta in sicurezza il territorio sia rispetto ai rischi sismici, sia a quelli idrogeologici.
Insomma le cose da fare per rivitalizzare economicamente questo paese e sviluppare l'occupazione ci sono, come esistono anche le soluzioni.
Quella che manca è la volontà politica di rimettere in discussione i vincoli che sino ad oggi hanno ridotto questo paese, come tanti altri in europa, a semplici mercati da dove drenare risorse e ricchezza.
Renzi è oggi il “campione” di questo scempio economico e sociale. Mandiamolo a casa!
Noi stiamo facendo la nostra parte e lo Sciopero Generale dell'autunno sarà uno strumento importante, come fondamentale è costruireuna forte campagna per il NO al Referendum sulle modifiche alla Costituzione.