A Lampedusa non una tragedia, ma un crimine

Roma -

L'ennesima tragedia alle porte di Lampedusa, causata dal rovesciamento di un barcone proveniente dalla Tunisia con una cinquantina di persone a bordo, è un crimine. Doppiamente odioso perché tra le decine di vittime si contano al momento 13 donne e 8 bambini.

Di fronte a tutto questo la politica italiana continua a trastullarsi, assuefatta e distratta, rifiutando di accettare la realtà: quanto succede da anni nel Mediterraneo non è più un'emergenza estemporanea ma la conseguenza di un processo di trasformazione strutturale globale che condanna alla migrazione intere popolazioni impoverite. Si tratta di un processo da affrontare guardando in faccia la realtà, non certo nascondendosi dietro i reboanti decreti sicurezza di chi è interessato unicamente al proprio orticello elettorale.

La Repubblica Italiana ha il dovere costituzionale di salvare vite umane, non di metterle in pericolo: è soprattutto una questione di umanità e di giustizia sociale. Il governo deve quindi evitare di farsi imprigionare nel paradigma della paura alimentata da allarmismi costruiti su numeri falsi. Limitarsi a fare la guerra a chi salva vite umane sostituendosi con merito a un'Europa indifferente, significa dichiarare guerra all'umanità.

Bisogna aprire ora, subito, i corridoi umanitari per fermare la strage. Bisogna denunciare i tanto sbandierati accordi tra Italia e Libia, paese preda di una guerra civile, che sono di fatto un ostacolo alla salvaguardia delle vite umane e un favore ai trafficanti. Così come occorre liberare le persone prigioniere dei vari decreti sicurezza e per farlo c'è una strada sola, la regolarizzazione che restituisce diritti e dignità agli esseri umani.

 

Unione Sindacale di Base