A Bologna il convegno USB "Lotte e diritti", per fermare la repressione sociale e penale dei decreti Salvini
In Italia le lotte per i diritti non hanno più diritto di cittadinanza. Il decreto Salvini colpisce pesantemente le libertà sociali e sindacali fino a reintrodurre fattispecie penali da anni depenalizzate.
Come durante il fascismo, il conflitto sociale, lo sciopero, la lotta sindacale, tornano materia per i tribunali penali.
Contro la restrizione dei diritti costituzionali e la deriva repressiva inaugurata con il decreto Salvini, l’Unione Sindacale di Base ha lanciato un appello e organizzato un convegno per riaffermare i diritti costituzionali a difesa del lavoro al quale hanno già aderito tra gli altri Moni Ovadia, Aboubakar Soumahoro, Paolo Maddalena, Giuseppe Rescigno, Piergiovanni Alleva, Zerocalcare, Mimmo Lucano, Christian Raimo, Valerio Evangelisti, Alberto Prunetti Giorgio Cremaschi, Silvia Prodi, Guido Lutrario, Arturo Salerni (in allegato l’appello con i primi firmatari).
Se ne dibatte venerdì 17 maggio a Bologna (ore 15, Zanhotel Europa, via C.Boldrini 11) al convegno “Lotte e diritti: conflitti sociali come reati nell’epoca della Legge Salvini”.
Pubblichiamo un intervento dell’avvocato Arturo Salerni sul cosiddetto decreto Salvini bis
Prime considerazioni sul Salvini bis: non c’è limite al peggio
È arrivato il rilancio. Dopo il decreto 113, meglio noto come decreto Salvini, ecco apparire il Salvini bis, ovvero la nuova proposta di intervento d’urgenza “in materia di ordine e sicurezza pubblica” predisposta dal Ministro dell’Interno che – nelle prossime settimane – dovrebbe essere esaminata dal Consiglio dei Ministri. Non sappiamo quanta propaganda elettorale ci sia, ma sappiamo senz’altro che la proposta si muove nel solco di quanto già convertito in legge dalla maggioranza di Governo con il cosiddetto “decreto sicurezza”.
Il decreto dell’ottobre 2018, divenuto legge il primo dicembre dello scorso anno, metteva insieme – quali facce della stessa presunta emergenza - la questione “immigrazione” e la sicurezza pubblica.
Sostanzialmente, a seguito dell’affondo portato dal precedente governo sulle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, attraverso il decreto che porta il nome dell’allora ministro Minniti, è stato abrogato l’istituto della protezione umanitaria (costringendo decine di migliaia di persone migranti a una condizione di irregolarità e clandestinità) e si è portato un attacco alle forme più diffuse di conflitto e autorganizzazione sociale, con la reintroduzione del reato di blocco stradale e l’aggravamento sanzionatorio previsto in caso di invasione e occupazione di immobili.
Anche nella nuova proposta vicenda migratoria e conflitto sociale vengono tenute insieme nella proposta del leader della Lega, motivando il ricorso alla forma del decreto legge richiamando una situazione emergenziale evidentemente inesistente (il che dovrebbe condurre ad una declaratoria di illegittimità costituzionale per l’evidente abuso dello strumento della decretazione di urgenza)
Scorrendo il testo della proposta di decreto legge vediamo inserite modifiche al testo unico sull’immigrazione, al codice della navigazione, al codice penale e al codice di procedura penale, al testo unico di pubblica sicurezza del 1931, alla legge del 1975 sull’ordine pubblico.
Si comincia – e l’art. 1 funge da manifesto ed indica il segno dell’intervento – con l’introduzione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti di coloro che compiono operazioni di soccorso nel Mar Mediterraneo. Anche in questo caso l’intervento non è casuale o isolato.
Vale la pena considerare come questa proposta – ovvero l’applicazione di una sanzione che va da 3.500 a 5000 euro per ogni straniero trasportato – si inserisce in una parabola tragica e terribile che ha caratterizzato la vicenda delle migrazioni negli ultimi decenni.
Anni contrassegnati da migliaia di morti nei percorsi migratori e dal costante ripetersi di naufragi con decine o centinaia di persone annegate, di evidente carenza del sistema di soccorso in palese violazione delle convenzioni internazionali sui salvataggi in mare, dal tentativo di supplire alle mancanze degli Stati da parte delle organizzazioni non governative, dalla criminalizzazione dei soccorritori posta in essere da uffici della Procura e da provvedimenti governativi (che sono stati messi in campo ben prima dell’insediamento dell’attuale compagine governativa), dalla chiusura dei porti e dai sequestri delle navi.
Un vero e proprio olocausto innescato dalle legislazioni restrittive sull’immigrazione e dagli ostacoli frapposti al diritto di asilo ed alla protezione internazionale che forse un giorno porterà i tanti responsabili a rispondere di questa strage ininterrotta e di questo interminabile crimine contro l’umanità.
E l’approvazione di questa norma segnerebbe un ulteriore e terribile passo in avanti in questa politica di morte, impedendo di fatto il soccorso dei naufraghi oppure imponendo – con indiscutibile violazione della tutela costituzionale ed internazionale del diritto di asilo - di riconsegnare i superstiti all’inferno da cui essi tentano di fuggire,
La norma si accompagna alla previsione inserita all’articolo 2 di ampliamento dei poteri del Ministro dell’Interno il quale secondo la proposta “può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili o unità di diporto o da pesca nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica”, con un sostanziale azzeramento delle funzioni in materia del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
Una posizione preminente del Ministro dell’Interno che dovrebbe caratterizzare l’attività politica e amministrativa dell’esecutivo, con un superamento dell’attuale equilibrio nella ripartizione delle competenze tra i diversi dicasteri, il che da il senso di una proposta politica tendente ad una crescita esponenziale degli apparati repressivi e di polizia nell’ambito della sfera pubblica.
L’art. 3 della proposta, se approvato, porterebbe le indagini sulle ipotesi di organizzazione o favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella competenza delle direzioni distrettuali antimafia sottraendo l’attività investigativa agli uffici di procura dei diversi Tribunali, e l’art. 4 prevede “anche con riferimento alle attività di contrasto del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” l’utilizzo “dello strumento investigativo delle operazioni sotto copertura” previste dalla legge di ratifica della convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.
Anche queste disposizioni – da cui deriverebbero significative disfunzioni sottolineate da coloro che negli anni hanno svolto la loro attività investigativa e giudiziaria di contrasto alle mafie - hanno principalmente il significato di indicare l’arrivo di migranti sul territorio nazionale come la vera e grande emergenza politica, sociale e criminale di un Paese in cui la criminalità organizzata di stampo mafioso ha assunto un ruolo dominante ed oppressivo, non limitato soltanto ad alcune aree geografiche e colluso con esponenti della politica e del mondo imprenditoriale.
Reiterando lo schema già seguito nel primo decreto Salvini, ad un primo gruppo di disposizioni che hanno di mira i migranti e coloro che creano reti di solidarietà e sostegno a chi fugge da guerre e miseria seguono altri articoli indirizzati a colpire le forme di conflitto ed organizzazione sociale, questa volta senza badare alle provenienze geografiche dei protagonisti.
L’art. 5 aggiunge una previsione all’articolo 18 del Testo Unico del 1931 (limitato nella sua portata dagli interventi della Corte Costituzionale succedutisi nel tempo), per cui sono puniti con la reclusione fino ad un anno – e quindi con la trasformazione della contravvenzione in delitto – i promotori delle riunioni non preavvisate o non autorizzate qualora nelle riunioni stesse siano commessi i reati di danneggiamento e devastazione. Quindi, indipendentemente dalla partecipazione al fatto di danneggiamento, il promotore della manifestazione potrebbe essere condannato – pur senza alcuna colpa a lui additabile - alla pena della reclusione. Un semplice danneggiamento (un vaso da fiori frantumato) commesso da chiunque in occasione di una manifestazione porterebbe alla contestazione dell’ipotesi delittuosa nei confronti del contravventore.
Un’altra ipotesi delittuosa viene introdotta nell’art. 24 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, con la previsione della reclusione sino ad un anno per coloro che – promotori di manifestazioni non autorizzate o preavvisate – non ottemperano all’ordine di scioglimento della riunione.
Ed ancora si interviene sulla legge del 1975 trasformando da contravvenzione in delitto, punito sino a due anni di reclusione, “l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona” (anche una semplice sciarpa che copra il volto) “se il fatto è commesso in occasione di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”. Peraltro in tali casi è prevista la possibilità di arresto in flagranza.
Sempre con riguardo alle manifestazioni viene varato una nuova fattispecie di reato, introducendo l’art. 5 bis della legge 152/1975, per cui è punito con la reclusione da uno a tre anni chi – fuori dai casi di resistenza o violenza a pubblico ufficiale – oppone al pubblico ufficiale una resistenza passiva, sinora non considerata tale da integrare un’ipotesi di reato, utilizzando scudi “o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti”, e con la reclusione da uno a quattro anni chiunque nel corso delle manifestazioni “lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o comunque atti ad offendere”. Basta la semplice lettura del testo per comprendere la pesantezza della risposta sanzionatoria, il bersaglio di questa disposizione (ovvero qualunque forma di protesta) e la mancanza di precisi confini all’applicazione della norma, sì da renderla estensibile in modo indefinito.
Sulla disposizione di cui all’art. 7 che prevede la proposta nomina di un Commissario straordinario di Governo – nominato su proposta del Ministro dell’Interno – per eliminare l’arretrato relativo alle sentenze di condanne penali divenute irrevocabili non si può fare a meno di sottolineare che si tratterebbe di un’ingerenza senza precedenti dell’esecutivo (del Ministero dell’Interno, tanto più) nel delicato settore dell’esecuzione penale. Anche la sottrazione della semplice notifica agli uffici giudiziari competenti, e ai loro capi, fa correre il rischio che sia il Commissario di nomina governativa a decidere quali sentenze debbano essere eseguite per prime, eventualmente anche con il carcere. Afferma sul punto Magistratura democratica: “Il salto dal diritto penale del nemico alla politica giudiziaria del nemico sarebbe presto fatto”.
La disposizione di cui all’art. 8 contiene una serie di modifiche a varie disposizioni del codice penale, tutte orientate nel senso di un aggravamento sanzionatorio e repressivo assolutamente mirato alle forme di estrinsecazione del conflitto sociale e delle manifestazioni di dissenso dalle scelte governative. Si pensi alla impossibilità di definire con la formula della non punibilità per tenuità del fatto ogni ipotesi, seppur lieve, di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, all’aggravamento della pena, fino a quattro anni, per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, ipotesi criminosa espunta dal nostro codice nel 1999 e reinserita dal decreto Maroni del 2009, per i reati di devastazione e di danneggiamento commessi nel corso di manifestazioni pubbliche (in tale ultima ipotesi si arriva alla previsione della reclusione da uno a cinque anni).
Qualsiasi lotta dei lavoratori che escano da una fabbrica o da un ufficio per protestare o rivendicare stabilità occupazionale o miglioramenti normativi salariali, qualunque dimostrazione studentesca, qualunque lotta di quartiere o territorio per frenare una devastazione ambientale o per chiedere servizi pubblici potrà finire con la galera per i manifestanti in quanto anche la “resistenza passiva” verrà punita a prescindere dalla “particolare tenuità del fatto”.
Già da anni si assiste (con il concorso di tutti gli schieramenti politici, addirittura in gara tra loro nel mostrare i muscoli ad una opinione pubblica unidirezionalmente orientata dai media) ad una negazione dei principi costituzionali e di civiltà giuridica che impongono la riduzione dell’area dell’illecito penale e la sanzione penale e carceraria quale extrema ratio, ma con questo passaggio, che seguirebbe quello del primo “Salvini”, l’obiettivo di una militarizzazione complessiva della dialettica politica, sociale e sindacale è assolutamente perseguito ed in nessun modo nascosto.
Arturo Salerni