40 anni di 194, Usb: indietro non si torna. Libere di scegliere!

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Compie 40 anni la legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza. Una legge frutto di una stagione di eccezionali proteste, rivolte, lotte. Una risposta ai grandi movimenti delle donne negli anni ‘70.


La riprova che solo attraverso il conflitto sociale esiste la possibilità di leggi progressiste quelli furono gli anni della riforma sanitaria, della cancellazione dei manicomi, dell’istituzione dei consultori, dello statuto dei lavoratori, solo per citarne alcune.


Una legge, la 194, comunque frutto del compromesso con la Democrazia Cristiana e il Vaticano e che le donne avrebbero voluto già allora più laica, meno conservatrice e paternalista, senza scappatoie come l’introduzione dell’obiezione di coscienza.


Da quando è entrata in vigore la legge, non solo si sono praticamente azzerate le morti delle donne, in particolare di quelle che non potendosi permettere le cliniche private erano costrette a rivolgersi alle mammane, ma gli aborti sono diminuiti di più del 60% in numeri assoluti e del 50% se li si considera in rapporto con i nuovi nati.


Sarebbe invece utile riflettere sul fatto che, mentre nel passato erano generalmente donne sposate con almeno 2 figli a ricorrere all’interruzione di gravidanza, ora sono le giovani donne single, disoccupate o con lavori precari a non potersi permettere il lusso di un figlio ai tempi del jobs act e in un Paese che ha scelto di smantellare welfare e tutele sociali in ossequio ai diktat dell’Unione Europea.


Ma, nonostante la legge, la scelta dell’interruzione di gravidanza è ancora oggi un percorso a ostacoli per le donne. Con l’aggravante dell’inaccessibilità ai servizi per le donne migranti “clandestine”. La percentuale di obiettori nel servizio sanitario pubblico supera la media  del 70%, un dato in costante crescita e che  in alcune zone d’Italia rende di fatto inapplicabile la legge; solo nel 60.4% (371 su 614) dei reparti di ginecologia ospedalieri è possibile praticare l’IVG, con punte minime in Campania (27.1%), nel Lazio (35.85%) e a Bolzano (22.2%).


È, inoltre, un problema il numero inadeguato e il continuo smantellamento dei consultori, a cui l’applicazione della 194 è legata a doppio filo: la legge di istituzione ne individuava almeno uno ogni 20.000 abitanti mentre oggi siamo allo 0,6: quasi la metà di quanto pianificato.


Non va meglio né sul fronte della prevenzione, né su quello dell’aborto farmacologico.  La contraccezione, grazie al governo Renzi, è tornata a pagamento nonostante la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sostenga che la gratuità dei contraccettivi è fondamentale per esercitare il diritto alla procreazione responsabile, così come i limiti di età ed il crescente numero di farmacisti obiettori rende impossibile l’utilizzo della contraccezione di emergenza.


Mentre per quanto riguarda l’aborto farmacologico, l’utilizzo della RU 486 nel nostro Paese è possibile solo attraverso ricovero obbligatorio ed entro sette settimane mentre nel resto d’Europa viene somministrata senza ospedalizzazione entro le nove settimane, col risultato che in Italia l’aborto farmacologico viene utilizzato in poco più del 15% dei casi contro, ad esempio, il 57% della Francia.


A 40 anni di distanza siamo ancora costrette a difendere l’applicazione di questa legge e il diritto all’autodeterminazione delle donne in tema di salute riproduttiva dalle crociate antiabortiste della destra e dei movimenti cattolici integralisti e a lottare  per difendere welfare, sanità pubblica e prevenzione dalla logica del profitto ad ogni costo.

Non solo in Italia. Dall’Argentina alla Polonia, dall’Irlanda agli Stati Uniti le donne scendono in piazza per rivendicare il diritto di scelta.

Il 22 e il 26 maggio sono le giornate individuate da Non Una di Meno per la mobilitazione a difesa della 194 nelle principali città italiane: per la contraccezione gratuita; per l’accesso gratuito alla IVG indipendentemente da cittadinanza e documenti; per il diritto a servizi pubblici e farmacie liberi da obiettori; per difendere e rilanciare servizi sanitari pubblici, laici e gratuiti.

Noi ci saremo. Indietro non si torna.



Unione Sindacale di Base